Mentre sistemavo l'orecchino, il mio
unico "gioiello" portato dietro, attaccandolo all'orecchio sinistro,
mi guardavo attentamente nello specchio. Riflesso in esso insieme
alla mia immagine, vedevo anche il sole che tramontava senza le
pretese di ieri sera, ma per niente meno bello o meno fiero della
propria esistenza. Davide, anche se qualche volta ha preso parte nel
discorso pomeridiano, gran parte del tempo l'ha passato meditando,
brontolando con se stesso, commentando e qualche volta porgendo qua
e là qualche domanda che spesso non aveva niente a ché fare con il
resto del quesito. Una o due volte gli avevo chiesto per la
spiegazione, ma lui rispondeva che l'avrei avuta poi, naturalmente
senza dirmi questo poi quando sarebbe accaduto. Così, decisi di non
rompergli più l'anima con domande per il momento poco opportune e
lui mi ringraziò con un semplice grazie, a buon rendere! Nemmeno
questa volta sapevo in che cosa poteva consistere questo buon
rendere, ma abituata ad aspettare e accettare la "sua" logica,
cercai di vestirmi in totale silenzio. D'altronde, questa quiete
giovava anche ai miei pensieri che puntualmente studiavano il
comportamento delle ore passate confrontandoli con qualcosa senza
contorni e tanto meno palpabili. Probabilmente erano i ricordi che
tentavano le loro prime uscite ma come spesso accadeva, senza esito
positivo.
- Vorrei sapere che Diavolo ci faccio qui, davanti allo specchio,
con un orecchino solo e cercando di farmi presentabile nel miglior
modo possibile - la voce che uscì dalla bocca mi spaventò quasi. Non
per la forza delle parole dette, ma perché non ero cosciente di aver
pensato ad alta voce.
- Non credo che il Diavolo c'entri qualcosa questa volta. Direi che
vuoi farti bella, tutto qui! - La voce di Davide era l'esatto
opposto della mia, calma e pacata come se tutto questo fosse più che
normale.
- Dici bella!? Questi due riccioli a dir poco birichini, il viso
arrossato dai primi raggi estivi, il vestito ancora spiegazzato dal
viaggio... niente smalto per le unghia, niente rossetto sulle
labbra...
- Ti mancano?
- Direi proprio di no.
- E allora di che ti lamenti?
- Ma per farsi belli queste cose occorrono Davide!
- Dal di fuori. E se tu fossi già bella dentro! Hai mai visto quei
palazzi settecenteschi, con le facciate in mille pezzi, senza
intonaco, senza le finestre, con le tegole "dispari" e le ringhiere
arrugginite? - ma quando capì che da parte mia non poteva avere
nessun tipo di risposta si scusò con due parole e continuò quasi in
affanno - Proverò a spiegarti la sensazione quando si passa l'ultima
soglia che ti divide dall'interno.
- Non ne hai mai visto uno nemmeno tu!
- Visto no, però raccontato dai molti personaggi di tutte le età, di
infinite educazioni, di mille volti ma sempre con il solito amore
per il bello. Si, il bello degli affreschi, il bello dei capitelli,
il bello dei colori azzurri, ocra, verde speranza... quella speranza
che qualcuno li guarderà negli anni avvenire, si soffermerà per
meditare sul tempo passato, sul vento soffiato e sull'acqua
scivolata via lungo i solchi minuscoli delle rughe della fatica. Poi
sali al piano superiore e trovi dei terrazzi con delle conche a
pezzi ma con il profumo delle gardenie ancora conservato dentro la
loro memoria, le mattonelle di terracotta con le gocce di sudore dei
contadini dalla pelle ruvida, il fruscio della seta, i tentennio dei
bicchieri, le parrucche bianche e nere, i ventagli... per poi
terminare il viaggio in soffitta, con la tegola "dispari" guardando
il cielo pieno di stelle, le solite stelle di allora, il solito blu
di allora, il solito vento di allora che ti porta fuori conservando
dentro la tua anima il bello del colore, degli affreschi, dei
capitelli...
La sua voce quasi scomparve, diventando quasi inesistente per poi
chetarsi del tutto. Rimanemmo in silenzio per qualche istante. Lo
guardavo... sapevo che col tempo sarebbe stata dura conversare con
un "essere" come Davide. Questo l'avevo intuito già ieri e con il
passare delle ore l'intuizione si tramutava pian piano in realtà.
Gli mancava soltanto lo sguardo perso nel vuoto e sarebbe stato
perfetto. Dovevo rompere l'incantesimo, dovevo..
- E tu pensi che ad Andrea interessino i capitelli?
- Mi prometti una cosa? - sembrava che non mi avesse nemmeno
sentito.
- Certo.
- Quando si torna a casa, mi porterai a visitare un castello
settecentesco?
- E se rimarrai deluso?
- In troppi hanno scritto cose belle sui frammenti del passato per
essere tutti bugiardi!
Non avevo altra scelta che accettare il suo calcolo matematico delle
percentuali, assicurandogli qualche ora piacevole nel suo futuro
- Promesso!
- Grazie. Se non lo interessasse, non varrebbe la pena farsi bella
esternamente!
- Interessasse a chi?
- Ad Andrea... i capitelli, mattarella!
- Allora mi avevi sentito!
- Certo, soltanto che dovevo prima finire un processo già iniziato
per incominciarne un altro!
- Di conseguenza potrei uscire anche così?
- Ora non esagerare, almeno un po' di pettine. Per rispetto altrui!
Divertita, mi detti una pettinata veloce, uno sguardo al resto
dell'intuibile e commentando sotto voce che Davide non aveva poi
tanto torto, lo presi per la maniglia e mi avviai verso la porta.
- E no, questa volta andrai da sola.
- Da sola dove?
- All'appuntamento!
- Cosa mi vuoi far capire, che stasera mi pianti in asso?
- Avrei un pò da fare.
- Ed io?
- Avrai un pò da fare anche tu.
- Davide, già sono impappinata di mio, lasciandomi così su due piedi
rischio di andare in tilt.
- Ricordati dei capitelli e vedrai che tutto tornerà al suo posto.
- Tu saresti capace di risolvere tutto con i capitelli, ma non è
così semplice come sembra.
- Perché siete voi umani che la fate complicata più di quel che è.
Mi vuoi spiegare una cosa?
- Se ci riesco, volentieri.
- Perché non riuscite mai ad imparare niente dall'esperienza altrui?
Perché ripetete gli sbagli per secoli e secoli, modificandoli di
tanto in tanto qua e là ma in sostanza identici uno all'altro?
Imparate, scrivete ricordate e poi?
- Lo sai che ore sono?
- Certo, ma se non darai risposta a te stessa, difficilmente
importerà l'ora dell'appuntamento.
- Hai posto tu la domanda, mica io!
- La mia risposta conosco da tempo, è la tua che non conosco. La mia
è calcolata, meditata, pesata, e percentualmente perfetta. Vorrei
confrontarla con la tua e farti capire che tutto, in fondo, gira
intorno ai capitelli!
- E dai, diventi monotono.
- Quando arriverai alla parola fine nella tua risposta, vedrai che
hanno più significato di quello che sembra. Allora?
A quel punto decisi di mettermi a sedere e dopo aver appoggiato
Davide sul tavolo, incrociai le braccia sul petto guardando il mare
oltre la finestra. Era uno specchio.
- Vuoi veramente sapere quello che penso io? Non sarà facile
spiegarlo in due parole, ma ci proverò. Allora... credo
profondamente che sia l'egoismo, una delle poche cose che a voi
manca. Credersi più furbi dei propri avi, più scaltri del vicino di
casa, più intelligenti del maestro, più bravi del fratello...
Credere che ogni male si possa risolvere con una semplice
confessione, essere perdonati, seppellendo così la propria colpa e
tornando alla vita quotidiana convinti di non aver pestato nemmeno
una margherita nel giardino del Paradiso. Poi, credo che esiste
un'altra cosa che scordiamo molto facilmente, perché ci torna comodo
si intende, che "lassù" non ci saranno "mediatori" umani e non ci
saranno inganni appena fatta la legge. Di tutto ciò, spesso e
volentieri, ci accorgiamo soltanto quando è troppo tardi, all'ultimo
momento, quando la marcia indietro non funziona più, quando le ruote
sgonfie rimangono a terra e quando le ultime gocce del carburante
servono soltanto per capire che non eravamo altro che prigionieri
del potere.
- Potere?
- Si, proprio lui!
- Ma è sempre un essere umano a comandarlo.
- E no! E' qui che nasce l'equivoco, secondo me s'intende! Siamo
schiavi di noi stessi, comandati da noi stessi ma non padroni di noi
stessi. Il potere non ha il volto ma il corpo sì, non ha la patria
ma la dimora sì, invisibile ma lo si può toccare, non esiste ma è
presente ovunque. Il potere Davide, è come un tumore, per vivere ha
bisogno di te ma contemporaneamente ti distrugge. E per quello che
non finiranno mai le guerre, gli stermini, la cattiveria, odio,
malignità... Il potere, come d'altronde tutti noi, ha bisogno di
nutrirsi. Chi di patate, come me, e chi di energia elettrica come
te. Lui delle buone intenzioni.
- Non potrebbe essere questo il vostro Dio?
- Non credo proprio Davide. Se è vero che ha creato l'universo così
perfetto, non può aver creato anche il cancro per distruggerlo. Non
sarebbe Dio. Diciamo che tutto ciò assomiglia molto di più al suo
eterno antagonista, il Diavolo.
- Allora ci credi anche tu in questo Dio?
- Non è questione di crederci o meno, hai già "visto" come la penso
io. Il vero problema è che siamo così carenti nel nostro sapere,
conosciamo così poco di ciò che ci circonda che non si dovrebbe
essere presuntuosi al punto di dire se esiste o meno. Io,
personalmente, non ho mai accettato i mediatori in nessuna
circostanza e così anche Lui, se un giorno vorrà avere a che fare
con me, dovrà osservarmi, valutarmi, pesarmi e decidere da solo se
sarò o meno un buon partner per poter poi combinare "affari"
insieme. Il più tardi possibile s'intende. - L'ultima frase aggiunsi
sorridendo e Davide acconsentì ticchettando facendomi capire di
essere diventato padrone totale dell'evento chiamato sorriso per poi
cercare, fra un ticchettio e l'altro, combinare a fatica una frase
intera
- Ora puoi andare all'appuntamento.
- E il capitello?
- Non hai ancora capito il suo valore? Non deludermi, ti prego!
Tornai per un attimo all'inizio del nostro discorso per poi
ripassarlo quasi per intero nei pensieri.
- E' quello che portiamo dentro, vero? Dentro, dove siamo i veri
padroni di noi stessi? Gli unici padroni?
- Buon divertimento Ilaria. Ora sì che avrò da elaborare dei dati.
Mi ci è voluta qualche ora per l'amore e il verde speranza, speriamo
che per Dio basterà la notte! Dicono che porta consiglio, la notte
intendo!
- Non scherzare Davide, perché se esiste, anche tu sei il frutto del
suo grembo! - e senza aspettare la sua risposta, che stranamente
tardava, chiusi la porta dietro le spalle lasciandolo ad elaborare
quello che fino ad oggi nessuno è mai riuscito a risolvere. Soltanto
che lui questo non lo sapeva e come tutti i bimbi piccini doveva
farsi l'esperienza. Ero curiosa di sapere come sarebbe andato a
finire questo suo viaggio nell'infinito, ma appena visto Andrea al
bar dell'albergo, Davide svanì dai miei pensieri. Mi fermai per un
attimo sul pianerottolo osservandolo attentamente. Non mi aveva
ancora vista e così potetti dare un'occhiata in più, quella che oggi
pomeriggio non avevo alcuna possibilità di realizzare a seguito dei
discorsi già ben conosciuti, dalla mattinata che mi sono svegliata
senza sapere chi sono fino alla scoperta che Davide leggeva i miei
pensieri con una facilità uguale al mio mangiare un gelato. In
questi pochi attimi che mi trovavo ferma, le riflessioni di tutto il
pomeriggio venivano fuori una dietro l'altra - di essermi confidata
con una persona completamente estranea, di avergli fatto delle
osservazioni come che fosse un amico di vecchia data, di non essermi
sentita mai a disagio anche se toccati gli argomenti veramente
strani e di guardarlo sempre più spesso, come ad esempio ora, in
modo per me poco consueto. I capelli questa volta non erano
arruffati e non indossava il vestito da sera ma appena notato la mia
presenza, un sorriso li inondò il viso. Ecco, quello era identico.
Identico al sorriso di questa mattina, un viso riposato, sereno e
pieno di risposte alle domande mai poste. Teneva il bicchiere in
mano e con un ampio gesto dell'altra, mi invitò ad accomodarsi
accanto a lui. Lasciai il pianerottolo quasi automaticamente ma
avvicinandomi sentii il cuore in gola, il respiro spezzarsi come un
ramoscello e le guance prendere fuoco. Strano. Eppure gli scalini li
ho scesi senza saltarne uno, il passo era regolare e la fretta
l'ultimo pensiero nella scaletta dei avvenimenti!
- E Davide?
- Mi ha dato libera uscita - dissi accettando il suo invito di
accomodarmi accanto a lui - ha detto che avrebbe avuto un po' da
fare.
- O forse non voleva essere indiscreto!
- Non credo che sia riuscito ad arrivare a questo punto di sviluppo
mentale, però non lo voglio nemmeno sottovalutare. Perciò diciamo …
può darsi.
- Hai scelto uno strano compagno per le vacanze!
- Non avevo scelta, per il momento. E' una storia che devo ancora
digerire e non credo che riuscirò in breve tempo. Perciò, per il
momento, accetto la situazione per quella che è, tutto qui.
- Tu almeno hai avuto a disposizione un paio di giorni, a me è
capitata fra capo e collo.
- Ma tu non la devi nemmeno digerire. Ti è capitata, niente di più.
Per te il domani sarà un altro giorno, simile o uguale a quello di
oggi, per me altre mille scoperte che di solito capitano nell'arco
di qualche anno e per me saranno concentrate in qualche ora.
Lo guardai attentamente. Gli occhi erano verde smeraldo. Per un
attimo mi fissò con una espressione di curiosità ed essi cambiarono
di tonalità in verde Amazzonia. Sarebbe?! Sarebbe la tonalità che
nasconde mille domande e poca conoscenza dei fatti per poterle
esporre ed essendo tante si ammassavano una sopra l'altra per finire
ad affogare nelle immense paludi e groviglio di rami, formando
inconsapevolmente un colore difficilmente ripetibile.
- Vorrei chiederti un favore.
- Sentiamo.
- Già che siamo soli, voglio dire senza Davide, lo potremmo
dimenticare almeno per stasera?
- Volentieri, ma contemporaneamente dovrai accettare le mie, qualche
volta strane domande o risposte, perché senza di lui mi troverò
spesso perduta anche in un bicchiere d'acqua.
- E se in quei momenti riuscissi a sostituirlo?
- Non so come potrai farlo, ma accetto la proposta.
- Allora affare fatto!
Gli occhi tornarono color smeraldo. Peccato.
- Ti piace la musica?
- Credo di si, anche se ultimamente non ho avuto gran ché tempo per
ascoltarla.
- Credi?
- Andrea!
- Scusa, hai ragione. I primi passi sono sempre i più difficili.
Preferisci la Discoteca o qualcos'altro?
- Discoteca?...significa buio, chiasso, ammassamento, pestarsi i
piedi e non vedere il volto della persona vicina. Io credo di amare
il sorriso, la battuta, il dialogo... una canzone cantata sotto voce
con delle parole che ti fanno riflettere e che poi creano il perno
del discorso sul più e meno.
Cercavo disperatamente qualche altra parola che poteva spiegare
meglio quello che portavo dentro di me, nascosto da qualche parte
nel passato, ma questo passato non riusciva a spuntarla sul muro
creatosi in poche ore di una notte passata chissà come. E Andrea,
come se avesse intuito la mia battaglia del cuore, tirò fuori una
ciambella di salvataggio alla Davide
- Un tavolino nell'angolo di una Balera?
- Due parole al posto della mia montagna. Vada per la Balera!
Senza aspettare che lo dicessi due volte o forse per paura che
cambiassi idea, si alzò di scatto, pagò il conto e, abbracciandomi
intorno alle spalle, mi trascinò fuori dall'albergo. Quanta fretta!
Forse perché dentro faceva caldo o lo avevo soltanto io?
Fuori, sembrava fatto quasi apposta, ci aspettava la sua macchina
davanti all'entrata. E che macchina! Era un meraviglioso Maggiolino
bianco, decappottabile, con la capotta, naturalmente, piegata
all'indietro, lavato e lucidato a nuovo, con gli interni in pelle
nera e con ragazzo dell'albergo che ci aspettava con la portiera
aperta. Mi soffermai qualche istante per guardarlo con gli occhi
lucidi. Il bianco si tramutò in beige chiaro, la capotta sparì e per
qualche attimo sentì la musica che usciva dalla radio a sei volt. Mi
vidi con le lunghe trecce penzoloni, i miei vent'anni e mio padre
che mi porgeva le chiavi dicendo
- E' tuo!
- Mio?!
- Non è nuovo, ma non credo che cambi qualcosa.
- E veramente tutto mio?!
- Ilaria!
- Non ci posso credere.
- Ilaria, dove ti trovi? Non credo proprio che tu sia presente.
Una leggera carezza sulle guance e la voce di Andrea mi riportarono
nella realtà.
- Sai, quando ho conosciuto per la prima volta un Maggiolino, avevo
si e no vent'anni.
- Conosciuto?
- Certo. Anche le cose sanno essere parte di noi, sanno vivere i
nostri problemi e dividere i nostri desideri. Lui ha diviso con me i
miei sogni, migliaia di chilometri passati insieme, decine di paesi
conosciuti insieme e mai rimasti a piedi, insieme.
- Un Maggiolino?
- Sì. E sono contenta di averlo ritrovato.
- Non è mica il solito!
- Ritrovato nel passato, matterello. Dai, andiamo. Chissà, forse
troverò qualche altra cosa stasera.
- Anche a me piacerebbe trovare qualche altra cosa stasera. - Mi
guardava senza vergognarsi dello sguardo fissato dritto dentro i
miei occhi - qualcosa perso molto tempo fa.
- Se la trovi, fammi un fischio così potrò farti compagnia - e
scendendo gli ultimi tre scalini mi trovai con la mano infilata
nella sua senza essermi accorta del accaduto.
Il vestito giallo che indossavo si intonava a meraviglia con il
resto che ci stava intorno. I sedili, oltre ad essere di pelle
morbidissima erano ampi, come il loro solito, i finestrini tirati su
per non soffrire colpi di vento improvvisi, il motore brontolava con
il suo caratteristico fischiettio e noi due che stavamo zitti,
ognuno con i propri pensieri. Appoggiai la testa sulla spalliera
guardando le stelle che ci accompagnavano nel nostro viaggio e non
volendo più pensare al passato, decisi che era l'ora di sapere anche
qualcosa su di lui. Senno, la mia mano dentro la sua che ci faceva?
Dovevo però trovare il modo giusto per entrare nell'argomento e
questo, forse, era l'ostacolo più grosso. Già, la mano. Forse...
- La mia mano è stata condannata all'ergastolo o forse qualche anno
in meno?
- Ergastolo?
Feci cenno alla mia mano che pacatamente giaceva dentro la sua.
- Oh, scusami, non volevo - e nello stesso istante lasciò la mano
libera con un’espressione sul viso che al momento non potevo
decifrare, per aggiungere in tutta fretta
- Non volevo farti del male.
- E chi ha detto che mi hai fatto del male. Perché, è tua abitudine
fare del male?
- No di certo.
- E allora perché credevi di averlo fatto?
- Pensavo a cose poco gradevoli e forse era quello che mi ha indotto
a crederlo.
- Pensavi a ieri notte?
- Già.
- Se ti dà fastidio parlarne, interrompo la conversazione.
Girò la testa nella mia direzione soltanto per un attimo, ma questo
attimo mi bastò per capire che potevo fare tutto all'infuori di
quello appena chiesto.
- Però questa volta dovrai essere tu a parlare. Non credo di saperne
abbastanza per poter sostenere una chiacchierata in due.
- Ma le tue posizione, principi, idee... quelle le conosci?
- Una buona parte. Per ora ho capito che quello che portiamo dentro
non si può smarrire né con una né con mille notti passate in dieci o
cento posti diversi, conosciuti o meno. Sono i nostri capitelli.
- Capitelli?
- Ti spiegherò poi, ora tocca te. - Davide, Davide... non ci sei ma
sei presente ovunque!
- Ilaria, sei mai stata amata?
- A questo veramente non ci ho mai pensato. Con Davide ho parlato di
che cos'è l'amore, ma se sono stata mai amata... Qui sarà un po'
difficile trovare risposta.
- E perché?
- Perché Davide non può sapere queste cose. Lui conosce me, i miei
pensieri, i miei comportamenti ma non quelli altrui. Ed io, siccome
non mi ricordo, non credo che potrò mai rispondere ad una domanda
come questa. L'unica soluzione è che qualcuno si innamori di me.
Soltanto non credo che lo si fa pigiando un bottone. O forse sì - e
divertita pigiai il clacson del Maggiolino. Non è che avevo tanta
voglia di divertirsi, il suo viso era troppo cupo, ma credo di aver
cercato di sdrammatizzare la situazione che diventava sempre più
seria.
- Io credevo di essere amato.
- Fino a ieri sera?
- Già.
- Ma tu l'amavi?
- E cosa c'entro io?
- Tu, l'amavi?
- A lei piacevano i vestiti di seta ed io le gli regalavo. A lei
piacevano i tacchi a spillo ed io la portavo in discoteca. A lei
piacevano le spiagge bianche ed io la portavo su isole lontane. A
lei piacevano tanto le stelle e noi dormivamo in attici di lusso.
Potrebbe bastare?
- Non credo proprio.
- Anche tu vorresti di più? - La voce divenne più cupa che mai
- Dipende da cosa intendi con questo "di più".
Non ebbe tempo per darmi la risposta, perché con una brusca
sterzata, seguita da una frenata altrettanto decisa, ci fermammo
davanti ad un ristorante. Con un'occhiata capì che eravamo arrivati
alla destinazione, che era un posto quasi isolato e che a forza di
parlare non mi ero nemmeno accorta di aver da tempo lasciato dietro
le spalle tutto il fracasso della cittadina balneare. La conseguenza
di tutto ciò era che, per avere una sua risposta, avrei dovuto
aspettare almeno qualche minuto, il tempo per sistemarsi. Decisi di
assecondare il tempo aspettando la sua prima mossa che arrivo nel
scendere dalla macchina senza aver aperto la bocca. Le girò intorno
altrettanto silenzioso aprendo lo sportello dalla parte mia, per poi
offrirmi la mano con evidente desiderio di essere seguito.
Scendendo, detti uno sguardo al resto notando un terrazzo ampio, un
complesso nell'angolo, la musica che riempiva la notte silenziosa e
la spiaggia che finiva dentro il mare calmo e pacato, in attesa di
qualcuno desideroso di bagnarsi i piedi dentro il suo immenso
abbraccio. Sembrava quasi un sogno. Vedendomi così incantata disse
soltanto come se mi avesse letto nei pensieri
- A lei non piaceva bagnarsi i piedi di notte.
- Forse perché non costava niente!
Aspettando la sua risposta, finimmo la cena, il dolce e la bevuta
finale. Questa non arrivava e così il discorso deviò nella banalità.
Avrei potuto ripetere la domanda, ma non volevo forzare la mano. Era
adulto, come dicono i vecchi, e vaccinato. L'aveva sentita e se
voleva rispondere, doveva farlo di sua spontanea volontà.
- Vuoi bagnarti i piedi facendo due passi lungo la spiaggia?
Presi la palla al balzo
- Ho aspettato tutta la sera per avere una risposta. Se accetto, me
la darai?
- Sul "più"?
- Sul più o sul meno, come la vuoi tu, ma basta che tu me la dia. Mi
piacerebbe averla per me ma soprattutto per te. Chissà, forse la mia
opinione non combacerà con la tua però parlando si potrebbe vedere
qual è quella giusta.
- Non ti ho risposto non perché non volevo, ma perché dovevo prima
riordinare i miei pensieri.
- Allora accetto la passeggiata.
Dopo nemmeno due minuti, avevamo i piedi nell'acqua allontanandoci
con passo leggero dal terrazzo, dove rimasero le note del pianoforte
accompagnate dal mormorio delle voci sorridenti, felici di passare
qualche ora in compagnia degli amici o parenti, vicini o lontani. Ne
passarono altri cinque di minuti e rimanemmo soli, accompagnati
soltanto dal nostro respiro e lasciando le impronte nella sabbia che
dopo pochi secondi scomparivano sotto le onde che le bagnavano,
mescolando inesorabilmente un granello con l'altro.
- Quante cose ti passano per la testa?
- Tante, ma non riesco a trovare il tuo "di più".
- Non ti posso aiutare perché credo di non conoscerlo nemmeno io. Si
potrebbe anche dire che questo "di più" ha più volti, più facciate,
più dimensioni... Dipende da chi si incontra e questo chi cosa
apprezza, cosa ama, cosa vuole dalla vita. Se preferisce un sorriso
all'ammirazione, una chiacchierata al potere, una carezza al
milione... - Mi soffermai per dargli un'occhiata sotto la Luna,
questa volta non piena come in quasi tutti i racconti sugli incontri
come questo, perché sembrava veramente un racconto o per meglio dire
un romanzo il nostro, ma sufficientemente luminosa per notare che un
fiume di parole stava pronto sulla diga, che appena aperta, avrebbe
inondato il resto del paesaggio. La sua mano si alzò all'altezza del
viso per poi essere accompagnata con due parole quasi insignificanti
- Una carezza come questa?
E le dita accarezzarono le guance
- O come questa?
E le dita si infilarono nei capelli.
- Andrea... fermati per un attimo, ti prego - Avevo bisogno di
riflettere. La situazione mi sfuggiva di mano e me ne accorgevo
soltanto dai frammenti dei pensieri che passavano alla velocità di
un fulmine dentro la mia mente. E la sua mano si fermò. No, non
fermarti! Dentro il petto si sprigionava un urlo silenzioso, ma il
petto non avendo le corde vocali, dovette subire l'urto dell'urlo
che rimase a sbattere da una parete all'altra senza via d'uscita.
L'urto provocò un dolore tale che accasciai la testa in avanti
trovando il suo petto, dove il contatto con la pelle magicamente
tramutò l'urlo in mormorio, inizialmente senza senso per poi
acquistarlo pronunciando le parole quasi mute
- Lei... lei cosa preferiva?
- Perché ti interessa?
- Per dare risposta a tutti e due. Per non sbagliare prima di
cominciare.
- Almeno la tua la dovresti conoscere.
- Forse una volta la conoscevo, ma è scomparsa insieme al
Maggiolino. - Il rimpianto che la sua mano si fosse fermata al mio
ordine, bruciava sempre di più dentro l'anima. - Lui è tornato in un
lampo di fiera bellezza - a quel punto alzai la testa acquisendo la
distanza proibitiva - e forse tornerà anche la risposta se continui
la tua carezza, sperando che sia essa e non il milione.
- Ed io, quando scoprirò la mia?
- Dopo aver avuta io la mia.
- E come?
Non ebbi più la forza per rispondere e nemmeno per pronunciare una
sillaba. Quel rimpianto per avergli fermato la mano da un fuochino
divampava in un incendio di proporzioni impensabili. Il suo respiro
che aumentava di frequenza, la sua mano che ancora indecisa stava
rimpiattata dentro i riccioli e la vicinanza del suo corpo che
diminuiva da un momento all'altro, di colpo annebbiò la mia vista
spalancando una sola porta dentro la mente - il denaro, il denaro mi
avrebbe mai portato sensazioni simili, mi avrebbe mai fatto male nel
petto, mi avrebbe mai arrossato le guance, nascosto il pudore,
svegliato il desiderio di essere immersa nel respiro altrui... La
sua mano si mosse scordandosi dell'ordine dato, la distanza svanì,
il mare si chetò, la Luna sparì e di due, rimase un respiro solo. Al
inizio fu un ruscello, un ruscello birichino che giocava in mezzo ai
sassolini colorati, poi divenne un torrente irrequieto con il
desiderio di diventare adulto mescolando e arruffando i ciottoli,
spezzandoli uno dietro l'altro infilandosi senza permesso in ogni
tana, in ogni fessura, ispezionando e cercando disperatamente dei
compagni disponibili ad unirsi e crescere insieme per poi, dopo
essere riuscito nel suo intento, diventare un fiume. Un fiume
profondo, torbo dalla forza con cui formava i vortici, con le sponde
che per distanza ottenuta non potevano più raccontarsi le storie del
passato. Il fiume che solcando le immense praterie e i monti
rocciosi affondava nel loro animo come la freccia nella carne del
cervo, macinava i chilometri uno dietro l'altro per poi arrivare
alla barriera della cascata, la barriera alta o bassa, a secondo
della forza ottenuta in precedenza, la barriera che talvolta
rimaneva insormontabile e per qualcuno una meta irraggiungibile,
costretto per sempre a rimanere soltanto un bozzetto accanto al
precipizio, girando intorno a se stesso, rimuginando ieri,
confondendo l'oggi, senza mai conoscere il domani. Devo provare a
trovare tutto ciò nel mio passato, cercare, ma come arrivare, ...
possibile che devo decidere una cosa così su due piedi... cercavo...
non trovavo niente, correvo sbucando dietro ogni angolo,
confrontando i sentimenti... E poi, all'improvviso, senza nessun
avvertimento o preavviso, la mia mano seguì una strada mai indicata
dai ricordi, la strada della carezza di un corpo vicino dalla pelle
sudata, dal desiderio sempre più sfrenato, dei capelli arruffati di
un colore indefinito... La strada che sbucava dietro un masso
sovrastante un precipizio alto un'immensità, profondo da non vedere
la fine, sconosciuto ma con un nome molto bello - domani! Il tuffo
era inevitabile, troppo tardi per tornare indietro... non volevo
tornare indietro... mi tuffai!
Come risposta al mio tuffo, arrivò soltanto una domanda sotto voce
- La tua risposta l'hai trovata, vero?
Lo strinsi soltanto più forte al petto.
- Anch'io la mia. Sai, lei preferiva il milione!
In punta di piedi entrai nella camera, con attenzione quasi disumana
chiusi la porta dietro le spalle e con un unico sguardo controllai
se ero riuscita nell'intento di essere più silenziosa dell'aria
incantata di un alba che sulla soglia della sua quotidiana entrata
aspettava di metterci il piede. E tutto ciò soltanto per non
"svegliare" Davide, che se fosse accaduto, senz'altro avrebbe voluto
curiosare sulle ore passate in sua assenza… La “sveglia” non si
azionò ed io, sorreggendo i capelli sempre umidi con una mano e
tenendo i sandali nell'altra, mi avviai verso il terrazzo dove mi
aspettavano i primi raggi del Sole, discreto più che mai, silenzioso
come al suo solito e luminoso in maniera quasi irreale. I raggi che
a fatica spazzavano la nebbiolina mattutina posatasi durante la
notte sulla superficie del mare, la nebbiolina mescolata con i
profumi dell'aria salata, aria fino a poco prima fresca e amica nel
raffreddare i miei pensieri bollenti ed, ora, a causa
dell'accavalcarsi di eventi, pensieri aggrovigliati, sensazioni
sconosciute e voglie inimmaginabili - insufficiente. Non mi accorsi
nemmeno di aver trascurato un fatto essenziale; il rialzamento
naturale della temperatura a causa del giorno che metteva il naso
nel fazzoletto chiamato notte, anche essa ricordata soltanto dai
frammenti sparpagliati e confusi, frammenti desiderati e nello
stesso tempo sconosciuti, nuovi, forti e per il momento padroni del
mio inconscio. Padroni... Scossi la testa per rassicurarmi di non
sognare... Rimanevo appoggiata sulla ringhiera con i sandali sempre
in mano continuando a guardare la nascita di un qualcosa quotidiano
ma sempre diverso. Erano le nuove ventiquattrore, sempre
ventiquattro ma con ogni minuto che scandiva, un qualcosa diverso di
quello precedente, se niente altro il tempo che diventava più
vecchio di un minuto. Il tempo... quanto ne è passato in queste
ultime ore?... erano ore... sto farneticando... e tutto ciò soltanto
per aver passato una manciata di minuti in compagnia di qualcuno...
era facile "teorizzare" con Davide sull'amore, ma innamorarsi... mi
sono innamorata?... Oh Dio quante domande. Come faccio a rispondere
senza avere nessun parametro... Già, quanti anni ho?... Se non ho
nessun parametro, significa che dovrebbe essere la prima volta.
Però, io non ho senz'altro quindici o sedici anni e finendo la frase
guardai le mie mani, le dita lunghe e ben curate, le unghia corte
senza smalto ma lucide, la pelle scura con la venatura marcata e
girando il palmo la linea della vita interrotta a metà strada per
poi, con una sottile riga collegata con il resto del destino. Era
una mano che aveva conosciuto il lavoro ma nello stesso tempo capì
che quello non doveva essere un lavoro duro, manuale o pesante. Ciò
nonostante lontano dalla mano di una scolaretta con la pelle quasi
trasparente, bianca, morbida, con le unghia a volte mangiate per la
tensione degli esami o tinte dalla biro per non aver rispettato la
distanza dal foglio scritto. Troppe domande, troppe incognite... ero
stanca, volevo dormire, volevo sognare... sognare cosa?... un tuffo
nel mare blu illuminato da mille luci dei plancton innamorati?, una
mano tenera che accarezzava il mio viso?, respiri affannosi, le dita
intrecciate, le onde che si infrangevano richiamando le successive
alla solita fine?... Mi allontanai dalla ringhiera e nel rientrare
in camera mi accorsi che il led di Davide non era spento. Allora non
"dormiva"! Farabutto che non è altro, voleva spiarmi! E poi
sorridendo capì che era soltanto la mia "umana" conclusione,
affrettata e senza senso, come il nostro solito quando non usiamo la
ragione. Loro non hanno la malizia come noi! Se sta zitto avrà ben
altri motivi, soltanto, anche dopo qualche minuto del minuzioso
scrutare, non arrivai al movente più forte della sua curiosità nel
conoscere il mondo a cui non apparteneva. Dunque, dovevo arrendermi
e aspettare il svolgersi dei fatti o chiederli la causa del suo
comportamento. Però, se comincio con le domande, addio il sonno e
con questo anche i miei sogni. La curiosità mi stuzzicava
l'appetito... l'indecisione prendeva campo... poggiai i sandali per
terra e mi misi sul letto in posizione da poter vedere bene il led
di Davide ma anche pronta per il viaggio nel mondo dei folletti.
Sembrava che quel occhiolino rosso mi stesse fissando, aspettando la
mia reazione. A quel punto non potei lasciare l'amico nel dubbio e
la domanda nacque spontanea
- Mi senti Davide?
Come risposta una breve interruzione nel fissarmi per poi continuare
il suo silenzio.
- Non sei curioso su ciò che è accaduto stanotte?
Sembrava crogiolarsi nel sonno, come noi quando siamo in semi
veglia, quando le palpebre non si vogliono alzare e gli occhi
rimangono chiusi perché dentro, da qualche parte, abbiamo da finire
un qualcosa rimasto a metà. Soltanto un paio di ticchettii mi
confermarono che non avevo tanto torto nel giudicare l'accaduto, ma
nello stesso tempo era anche una specie di avvertimento - di
lasciarlo in pace finché questo qualcosa non fosse arrivato alla
conclusione.
- Ok, ti lascerò in pace, ma cerca di comportarti nel solito modo
quando dormirò io e tu, curioso come sei, non potrai tenere la
lingua a posto. - Risposta? Silenzio. A questo punto optai per il
sonnellino e mentre mi sdraiavo sul letto con gli occhi già ben
serrati, la mano infilata sotto il cuscino e la mente sulla via
solcata soltanto da cavalli alati, lo salutai comunque con voce
assonnata
- Buonanotte Davide.
E siccome non mi aspettavo nessuna risposta da parte sua, nel
momento in cui arrivò ero già lontana dal mondo reale, riuscendo a
distinguere soltanto qualche parola in mezzo alle tante
- Sogni d'oro Ilaria,.... stanotte... sarà un altro giorno... anzi,
giorni... se... quando ti sveglierai io potrò.... sognare forse...
sono sempre qui a sorvegliare... svegliati, non mi tradire...
Ma cosa borbotta Davide... il giorno dentro la notte...se mi
sveglierò... cosa vuol dire…. Avevo fretta e forse per quello che la
meta sembrava sempre più lontana... Chi potrà sognare e perché lo
dovrei tradire?... il viale non finiva più … La mia decisione di
tempo fa era il frutto dei pensieri negli anni indefiniti, stipati
dentro qualche ragionamento con gli amici, dentro qualche pensiero
sfrecciato senza una destinazione precisa.. Di cosa avrei dovuto
aver paura… di cambiare l'idea e tornarmene a casa senza realizzare
quello che poteva diventare la mia ragione di vita….
Oramai mi ero incamminata sulla via solcata soltanto dai cavalli
alati …
Notai il cancello in ferro battuto appena svoltato l'angolo. Era
maestoso, imponente con l'intenzione di far capire al prossimo che
dietro di esso si poteva nascondere un qualcosa di speciale, ma era
chiuso a chiave. Sensazione - quello che trovavo chiuso in un modo o
l'altro, inesorabilmente mi accapponava la pelle e per farmi passare
questo strano stato d'animo, come d'altronde tutte le altre volte,
suonai il campanello, l'unico modo per far aprire la porta
gelosamente chiusa per nascondere, conservare o semplicemente
salvaguardare quello che conteneva. E questo bellissimo giardino,
dietro il cancello, con la bellissima villa sullo sfondo, custodiva
veramente un'infinità di valori, valori a dir la verità un pò
strani, valori tradotti in qualche ricciolo, qualche ditino infilato
nel naso, ginocchio sbucciato o camicetta strappata a seguito
dell'arrampicata proibita. Un valore più grande di tutti - lo
sguardo. Gli occhi semichiusi, le palpebre tirate sul confine
dell'attenzione e questo sguardo che ti penetrava fino all'osso,
pungendo e ferendo tutto ciò che trovava sulla sua strada, spazzando
ogni possibilità di compressione, di avvicinamento, amicizia...
stava lì, immobile, cercando di capire quello che non gli è mai
stato spiegato, mai fatto conoscere, mai fatto vedere...
L'automatico aprì il cancello e per non prendere l'ennesima
sgridata, lo chiusi appena passata la soglia. In cima al vialetto,
attentamente curato con ai bordi infinite varietà di fiori, mi
aspettava l'impiegata dell'orfanotrofio.
- In ritardo, oggi!
- Non per colpa mia. Sembrerà una scusa, ma ho avuto un incidente e
così sono dovuta venire a piedi
- Ha un bel fittone, la prova inconfutabile!
E mentre salivamo le scale che portavano in ufficio, Laura, così si
chiamava l'impiegata - donna di una buona cinquantina d'anni, un pò
grassoccia con viso tondo, capelli tinti e vistosamente poco curati
ma in compenso puliti - mi guardava con insistenza e, appena messi
piedi nell'ufficio, mi ripeté la domanda di quasi tutti giorni
uguale e senza la minima intenzione di cambiare il contenuto
- Anche oggi non ha la minima intenzione di scegliere?
- Conosce benissimo la mia risposta. Non è cambiata fino a ieri e
non cambierà nemmeno oggi.
- Posso essere indiscreta?
- Se non passa i limiti del lecito - dissi sorridendo
- Conosco sì la sua risposta, ma non ho mai capito la vera ragione
di questa risposta. Tutti quelli che sono passati da queste stanze,
vengono sapendo di già cosa vogliono. Entrano, guardano, ci fanno
radunare i ragazzi e poi si portano a casa uno di loro. Chi quello
con i capelli biondi perché assomigliava al suo padre, chi quella
con il nasino su perché l'hanno sognata la notte prima o perché
sapeva parlare senza balbettare...
- Puntando il dito, dissi, cercando la perfezione, i propri sogni
mai realizzati, la speranza che tutto tornerà come prima, la parola
mamma suonare nell'orecchio, l'obbedienza cieca per avergli donato
il domani...
- E cosa c'è di male in tutto ciò?
- Niente, fino a quando chi sceglie non si pone una domanda sola -
io, gli piacerò?
- Ma… sono soltanto ragazzi!
- Non colpevoli di essere nati! Nati e poi abbandonati. Abbandonati
a se stessi, a qualche pasto caldo se fortunati e in eterna attesa
di essere scelti. Ha ragione, forse è arrivata l'ora di spiegarle,
ora che ci conosciamo meglio, la causa di questo mio, per lei, così
strano comportamento. Io ritengo semplicemente che dovrebbero essere
loro a scegliere e noi ad attendere. Dovrebbero essere loro a
sognare i capelli biondi di una madre lontana, il naso in su di un
padre orgoglioso di averli accanto, la carezza di un viso che non
chiederà mai niente in cambio e quando chiudono gli occhi sperando
di sognare, farlo con il sorriso sulle labbra e lasciare quello
sguardo sfiduciato dietro il cancello in ferro battuto.
Mi guardava Laura come se fossi caduta dal cielo. Probabilmente
avevo sconvolto tutti i suoi ragionamenti logici… o forse aspettava
da tempo qualcuno che pensasse a modo mio? Ma in quel momento non
avevo tempo per conoscere la sua opinione. C'era qualcuno che, senza
saperlo, mi aspettava rintanato nel suo timore di non essere scelto
e per non farlo aspettare troppo, mi avviai verso la porta..
- Sono mesi che solca questi pavimenti. Ha visto decine di ragazzi e
ancora non è stata scelta?
- Forse perché sono io quella con il carattere sbagliato, forse
perché io non sono stata capace di capire i loro desideri o forse
anche perché chi mi sta scegliendo ha semplicemente bisogno di
tempo. Non siamo mica tutti uguali e per dire la verità mi costa
tanta pazienza. Ma sapendo che ogni desiderio ha il suo prezzo nel
realizzarsi, credo che il mio - essere amica nel cuore di qualcuno
che non conosce questa parola come tale - deve essere sempre battuto
all'asta virtuale dei valori. Non è niente al confronto dei loro che
non li conoscono nemmeno.
- Ma almeno uno si è accorto di tutto questo suo sforzo fatto fino
ad ora?
La guardai per un attimo. Nei suoi occhi vidi soltanto un punto
interrogativo, senza malizia né presa in giro. Vidi nient'altro che
la risposta alla mia domanda postami poco fa ed ero felice perché
non mi sentivo più sola a combattere questa guerra impari.
- Credo di si.
- E come si chiama?
- Le sembrerà assurdo, ma non gli ho chiesto il nome.
- E allora, come fate a parlare.
- Non abbiamo mai parlato, fino a ieri.
- Mai? A questo punto non riesco a capire come è riuscita a
comprendere il suo interessamento per lei.
- Per giorni se ne stava appartato e io giocavo con gli altri. Poi
ha trovato il compagno nel mio gruppo e io continuavo a giocare con
gli altri. Semplicemente non mi ero accorta di lui. Qualche giorno
fa mi ha fatto vedere il suo quaderno con i disegni. Su uno dei
fogli era dipinto un prato verde con dei fiori viola in un campo, un
bel sole giallo nel cielo blu, un cavallo alato in partenza...
niente nuvole, niente lampi, niente pioggia. Ed io per rompere il
ghiaccio dissi - Il cavallo ha bisogno di un amico - e lui, dopo
avermi scrutata per bene, disegno una ragazza accanto. Mi
assomigliava in modo spaventoso. Era lì che mi accorsi che forse
qualcuno cominciava a capirmi. Soltanto una cosa mancava, la parola.
Stava sempre zitto, il sorriso perso chissà quando e della
conversazione non ne parliamo nemmeno. Per poi arrivare alla
giornata di ieri, quando si avvicinò e, per la prima volta, mi
chiese di seguirlo. La voce era dolce, profonda, calma. Non ordinava
ma nemmeno chiedeva. Aspettava. Lo guardai dritto negli occhi e lui
abbozzò il sorriso. Porsi la mano dicendo - fammi strada - e lui
l'accettò infilando la sua fra le mia dita. Dio come ero felice!
- E dove l'ha portata?
- Davanti ad un Computer!
- Nella stanza in fondo al corridoio?
- Si. - e trascurando il fatto che Laura forse aveva capito di chi
parlavo, continuai a raccontare l'accaduto. - Si mise davanti alla
tastiera chiedendo con un gesto di accomodarmi accanto a lui. Sa, io
con i Computer ci vivo e questa scoperta della sua passione mi dette
una carta in più da giocare. Lui si accorse presto del mio Jolly ma
non ci rimase male, anzi, in pochissimo tempo sfruttò l'occasione e
dopo nemmeno cinque minuti eravamo tutti e due occupati con i
programmi, modi, usi, ragionamenti... La tastiera usava come io
l'accendino, il linguaggio gli era più che conosciuto e ammetto che
qualche volta è riuscito a battermi allo sprint finale. I minuti
passavano e con loro anche la sua sfiducia. Lo sguardo lontano
diventava amico, il sorriso riempiva i suoi occhi per arrivare, dopo
quasi un'ora, a chiacchierare come vecchi amici.
- Lo sa da quanto tempo è qui?
- Non abbiamo parlato di questo. Non credo che sia giunto ancora il
momento.
- Anni. Sono anni che si trova qui. Il suo unico amico è quel
vecchio Computer nella stanza in fondo al corridoio.
- Da oggi sarà un po' più nuovo - e tirai fuori dalla borsa un
portatile - contiene dei programmi che non ha mai visto né usato.
Soltanto che esiste un problema.
- Sarebbe?
- Non vorrei che sembrasse un regalo.
- Di regali ne ha ricevuti pochissimi, per non dire punti. Non crede
che potrebbe essere il suo secondo Jolly?
- Non voglio che il suo giudizio su di me sia costruito a secondo i
regali. I troppi Jolly di solito rovinano la partita. Vorrebbe darmi
una mano?
- Facendo in modo che sembrasse un ricambio naturale?
- Già. Io ora vado a trovarlo e Lei sistema tutto il resto.
- E chi lo piazzerà? Per me è arabo!
- Non mi dica che non c'è nessuno che si intende dei Computer.
- Certo che c'è, Luigi.
- E allora, dov'è il problema?
- Cosa dico a Luigi, che l'ha portato Babbo Natale?
Le parole seguenti, pronte per spiccare il volo, mi fecero ridere in
anticipo
- Laura, siamo quasi a Pasqua, lo metta nell'uovo!
E senza aspettare la sua risposta o forze qualche altra domanda,
imboccai il corridoio che portava nell'ala dove si trovava il campo
da basket. Non perché poteva essere uno dei giocatori, ma perché
spesso e volentieri si appartava in quell'enorme salone quando non
c'era nessuno. Si metteva in cima alla gradinata, con il quaderno in
mano e dipingendo le cose che non avevano niente a che fare con ciò
che realmente accadeva davanti ai suoi occhi. Poi tornava nella
stanza del Computer e tentava, spesso riuscendo, a trasferire tutto
questo nella fredda memoria di un calcolatore. Un strano binomio.
Arte e calcolo. L'immaginazione e la cruda praticità della
matematica. Due estremità. Di solito, dicono, si toccano, formando
così una realtà quasi perfetta.
Alzai lo sguardo cercando la sua ombra al solito posto, ma non la
trovai. L'abbassai per frugare dietro le tavole del parterre, ma non
la notai nemmeno lì. Lo sguardo diventava sempre più frenetico,
curiosava dappertutto, si infilava nei posti meno pensabili, ma il
risultato fu il solito. L'ultima possibilità, dietro la porta. E lo
trovai lì che mi guardava quasi divertito.
- Ciao!
- Tutto qui?
- Volevo aggiungere il nome, ma non lo conosco ancora.
- Mi chiamo Ilaria e tu?
- Igor.
Igor? Rimasi per un attimo immobile. Igor, un nome, anche se
certamente raro, già sentito. Ma dove? Quando? Guardai intorno a me
cercando non so cosa, ma trovai soltanto i muri della palestra e gli
occhi di Igor che aspettavano lo svolgersi dei eventi.
- C'è qualcosa che non va?
- Senti anche tu le onde del mare? - e il mio agitarsi aumentava
notevolmente.
- Non ci sono mai stato al mare.
- Non conosci le onde? Non conosci il blu degli oceani? Guarda sotto
i tuoi piedi….
I granelli della sabbia portano via i nostri ricordi brutti per
sostituirli con il vento del maestrale, con il tramonto burrascoso
di un Sole che ci dà la buona notte... - E prima di poter reagire,
essi mi avvolsero anche le mani, i capelli, le palpebre degli occhi
che nonostante tutto volevano rimanere aperti... ma poi si arresero
anch'esse. Non si arrese soltanto l'anima... urlava, voleva volare
lontano, sbatteva le ali perdendo le penne maestre ad ogni battito
del cuore... si agitava abbattendo i muri, recinti, sbarre...
- Non voglio andarmene da sola, non ti voglio lasciare di nuovo
solo... dove mi trovo?... - e sbattendo con la mano da qualche parte
dove le coordinate non erano di casa, mi costrinsi ad aprire gli
occhi. L'ordine di apertura era partito, ma all'infuori del bianco
impenetrabile, non vedevo altro. Erano aperti?
- Perché parlo e non mi sento? Perché guardo e non vedo? - e
allungando di nuovo la mano cercai di scoprire la risposta almeno su
una parte di tutte queste domande. La sabbia non c'era più e al suo
posto, soltanto per un frammento d'attimo sentii un qualcosa come
tela? tessuto? lino?... no, era cotone! per poi perdere di nuovo il
tatto. Ma che Diavolo succede? Sapevo dove ero e ora non so dove
sono?
- Mi sente qualcuno?
Silenzio. Si sentiva soltanto un strano ronzio. Tentai di muovere la
testa, ma l'obbedienza era un lontano ricordo.
- Non cercare di muoverti. Per ora sarebbe inutile.
Questa voce... questa voce atona, metallica, lontana ma nello stesso
tempo così amica...
- Davide! Davide sei tu?
- Si. Sono io.
- E perché non ti vedo?
- E' già tanto che tu mi senta.
- Cosa vorresti dire? Cosa è successo? Posso avere almeno una
piccola spiegazione, tanto per capirci qualcosa.
- Per ora devi cercare soltanto di dormire.
- Non so nemmeno se sono sveglia! Tutto è così confuso... Davide...
come saprò di non sognare?
- Perché fra qualche ora potrai conoscere il resto della storia.
- Fra qualche ora? E dove sono stata finora?
- Nel sogno dal quale tornano in pochi. Dormi ora.
Furono le ultime parole che sentii prima di essere stroncata da una
strana stanchezza. Questa volta non sapevo né dove me ne andavo né
quanto ci sarei rimasta ma ero certa che sarei ritornata. E non ebbi
torto. Tornai, però con le lacrime negli occhi. Non sapevo perché
piangevo, ma le lacrime inondavano il mio viso, il respiro si
combatteva con tutte le sue forze per non rimanere a secco, il cuore
batteva come se fosse un tamburo e gli occhi appena aperti, per la
prima volta notarono qualcosa di diverso del colore bianco. Un led
rosso.
- Buongiorno Davide.
- Buongiorno Ilaria. Hai sognato stanotte?
- Quando distinguerò il sogno dalla realtà ti risponderò. Per ora
sono soltanto curiosa. Dove mi trovo?
- Il colore bianco non ti dice niente?
Guardai intorno a me. Oltre il colore bianco notai l'ago infilato
nel braccio sinistro, il tubicino che penzolava dal letto, il
ticchettio strano sopra la testa e quando alzai lo sguardo vidi un
sacco di strumenti strani, qualche filo attaccato al corpo e
toccandomi la testa una grossa cicatrice.
- Davide, non dirmi che sono al ospedale!?
- Questa volta hai indovinato in pieno.
- Ma se ieri erravamo in spiaggia, quando prima sono finita in
questo, chiamiamolo, buco?
- In questo, come tu lo chiami buco, sei finita circa due anni fa.
- Circa? Ma non eri tu che non conoscevi mezzi termini... - e poi mi
ripresi di colpo - quanto hai detto? Due anni fa?
- Con il tempo ho imparato anch'io qualcosa, che a volte il numero
esatto non ha nessuna importanza. E poi non eravamo in spiaggia
realmente. Abbiamo fatto un viaggio virtuale.
- Ehi, ehi, ehi... vacci piano. Prima mi hai detto che sono qui da
due anni, che "circa" può diventare una certezza per finire con il
viaggio virtuale!? Cosa vorresti dire, che tutto il tempo che
abbiamo passato insieme, compreso il resto che è successo, in realtà
non è accaduto?
- La traduzione esatta del mio commento.
I miei pensieri presero a viaggiare vertiginosamente. Cercai di
radunare tutti gli eventi che riuscivo a ricordare: la mattina piena
di sole e lo spazzolino che non trovavo nel mobile del bagno
- Ero alle prime armi. Dovevo abituarmi al comportamento di voi
umani e che tutte le mattine, se non anche la sera, vi lavate i
denti. Per noi, calcolatori, una cosa superflua.
Per la prima volta sorrisi dicendo
- Ovvio, non li avete! E il tramonto?
- Quando è bello è un evento eccezionale.
- Il profumo del mare?
- La tua infanzia.
- La lettera al giornale su mia madre?
- Il tuo più grande amore.
- Andrea? - la domanda fu espressa con timore quasi palpabile e
Davide l'aveva capito perché rimase silenzioso per qualche attimo
per poi rispondere quasi accarezzandomi
- Quello che non hai mai avuto. Mi devi perdonare per aver creato
qualcosa mai esistito, ma non sapendo se ti saresti mai svegliata,
non potevo lasciarti andare senza farti conoscere il sentimento, per
voi il più bello.
- Ma come hai fatto a farmi sembrare tutto così reale?
- Abbiamo fatto!
- Avete? - i ricordi fecero qualche passo indietro. Computer - Igor!
A questo punto la domanda di poco prima, per il timore dell'esito
negativo mai pronunciata, si fece strada nella mia mente. Ma appena
abbozzata, la risposta di Davide non si fece attendere
- Andrea era l'unica, chiamiamola così, bugia.
Una risposta che mi fece volare dalla felicità.
- Allora Igor esiste davvero?
- Guarda in fondo al tuo letto.
Per poterlo fare mi dovetti rialzare sui gomiti. Un dolore immenso
mi trafisse la testa, ma quando lo vidi, silenzioso come al suo
solito, con il mento appoggiato sul palmo della mano, gli occhi neri
spalancati e due lacrime dentro essi il dolore sparì come le nuvole
portate via dal vento. Pensai per un attimo a mia madre; si, lei era
il mio più grande amore ricevuto, ma lui, il mio più grande dato.
- Igor, come hai fatto a conoscere questo pazzerello di Davide?
Potevo immaginarmi che non avrebbe aperto bocca e così accadde.
Forse questo evento era troppo grande anche per lui, perciò il
discorso lo continuò Davide
- Il giorno, quando gli portavi il portatile, hai avuto veramente
l'incidente d'auto, soltanto che non sei mai arrivata
all'orfanotrofio.
- E il regalo? Fu mai collocato al suo posto?
- Tralascia i dettagli per il momento.
- Allora avevo ragione io, hai conosciuto Igor. Perché non volevi
rispondere alla mia domanda di allora?
- Sei proprio impaziente. Non mi lasci finire un discorso per
intero! No, non avevi ragione! Se ti ricordi bene ti ho risposto
chiaramente soltanto quando mi hai domandato se me l'avevi
presentato. E io ti avevo risposto, no. Ed era vero. Perché soltanto
nei giorni successivi, dopo il tuo incidente, che arrivò a casa e ci
"incontrammo". Come vedi ci siamo conosciuti ma non ci avevi
presentati tu. E ora, se permetti, vorrei finire il discorso
iniziato, perché se si continua così non credo di poter arrivare in
fondo. Sono mesi che lavoro senza sosta e credo di aver bisogno di
un pò di riposo. Qualche circuito comincia a rinunciare
all'obbedienza.
- Mesi?
- Era il nostro ultimo tentativo. Intrufolarsi in mezzo a migliaia
di neutroni che spaziavano liberi senza alcun ordine, cercando di
riorganizzare il "traffico" diventato caotico a causa di
innumerevoli "lavori in corso". - la voce non era metallica e
proveniva da tutt'altra parte. Era Igor, che si era mosso in
silenzio per sistemarsi accanto a me, soltanto dalla parte opposta
di Davide. Ecco perché non mi ero accorta del suo arrivo.
- Ora, il dettaglio precedentemente tralasciato, mi piacerebbe
conoscere. Hai mai avuto il portatile?
- E' da lì che conobbi l'esistenza di Davide. Più scavavo nelle sue
memorie, più mi convincevo che un "essere" strano, da qualche parte
dell'universo, innaffiava fiori di un giardino immerso nell'erba
alta, curava le rose dai profumi più svariati, custodiva gelosamente
una casa abbandonata da tempo e faceva aprire le persiane tutte le
mattine anche se non c'era nessuno a guardare il sole che si
svegliava con tanto amore per l'avvenire...
L'arte. Era quella la parte che ha svegliato dentro di lui
l'immaginazione di un mondo mai conosciuto. Il calcolo, la
possibilità di conoscerlo.
- E così, un bel giorno mi decisi di chiedere alla Signora Laura se
potevo cercarti, in sua compagnia si intende.
- Sentite voi due, potrei andare un pò in vacanza, visto che ne
avrete per un pò?
- E dove ti piacerebbe andare? - disse divertito Igor
- Nelle verdi praterie del West, nei mari profondi dell'oceano
Pacifico, sulle vette innevate del Monte Bianco... solcando i mari,
volando fra le nuvole color salmone, inabissandomi nelle caverne
millenarie... diciamo un viaggio completo
- Se tu potessi sognare, forse tutto questo lo potresti anche
realizzare. Ma così...
- Non esserne tanto certo Igor - dissi sotto voce - Non ti ricordi
che all'inizio di questo viaggio così poco credibile, Davide mi
disse una cosa della quale non avevo mai capito la ragione? E
siccome lui è riuscito, riportandomi in vita, a realizzare quel
famoso regalo promesso da tempo, esprimendo questo suo desiderio,
che a te sembra così impossibile, potrò verificare se anch'io ero
così brava donandogli l'immaginazione.
- Non posso ricordarmi, dentro di te c'era soltanto lui. Io l'avevo
programmato, ma le decisioni erano soltanto le sue. - e mentre noi
eravamo occupati a spiegarci a vicenda gli avvenimenti accaduti o
meno, Davide si preparava per il viaggio da tempo atteso; riuscire a
sognare.
- Davide - il vecchio sentimento di un’amicizia inseparabile, mi
permise a porgergli una domanda a dir poco sciocca - Saprò mai se
sei riuscito?
- Se userai, come la chiamate voi, la logica, penso di sì, perché io
non te lo potrò mai dire con le parole. Sarebbe un sacrilegio per la
mia specie. Nessuno di noi ha mai desiderato una cosa del genere.
- Le eccezioni confermano la regola. Sono certa che tu sei una di
quelle. Buon viaggio Davide. Ti prometto di sforzarmi di capire se
il mondo dei folletti, cavalli alati e le fate incantate sia entrato
nei tuoi cip e fili di rame.
E mentre finivo il discorso, il suo led tremò per qualche istante
per poi spegnersi di colpo.
- Vi capite anche se non parlate - e la mano di Igor si infilò
dentro la mia. La strinsi con una forza quasi disumana, forza non
fisica ma mentale. Avevo accanto un essere che mi aveva scelto per
capirmi e amarmi, per essere capito e amato. L'unico modo possibile
per realizzare il nostro desiderio era conoscersi, guardare insieme
il prossimo, sognare le cose in comune, parlare, parlare, parlare...
e la parola non ebbe fine. Un'ora? due?... il tempo passava e le
parole formavano fiumi, laghi, torrenti... per poi sfociare nei mari
lontani... Mi girai per un attimo verso Davide. L'occhio rosso era
spento assomigliando alle palpebre che scendono sullo sguardo
stanco. Sarà riuscito nel suo intento? Ha detto se usavo la
logica... quale? Per aiutarmi a risolvere l'enigma, poggiai la mano
sul suo coperchio, accarezzandolo. Era caldo. Come lo poteva essere
essendo spento da tutto questo tempo? Sono passate ore Davide! Usare
la logica... Lo sguardo mi ricadde di nuovo sul led ... il suo
occhio era chiuso ma il calore dei circuiti confermava che i dati
continuavano ad essere elaborati... sembrava che dormisse...
dormire...Davide!!! l'urlo nel mio petto era immenso... Davide sei
riuscito... stai sognando!!!
Il silenzio nella stanza divenne totale. Sentivo soltanto un'onda
che si infrangeva su qualche scoglio lontano e Davide tuffarsi
nell'immenso mare blu. |