CAPITOLO 2

L'Orsa Maggiore. L'Orsa Minore. Le stelle. Ieri erano un sogno. Oggi il futuro. Domani saranno la realtà.

Il ronzio della sveglia mi costrinse ad aprire le palpebre e constatare due cose per il momento essenziali. La prima, di essermi scordata a disinserire il programma della rompiscatole mattutina almeno per questi pochi giorni di vagabondare senza meta e la seconda, che le nuvolette di ieri sera si erano tramutate in nuvoloni gonfi e minacciosi promettendo da un momento all'altro pioggia a catinelle. L'unica cosa piacevole in quel momento era il profumo dell'aria umida e quando dopo qualche minuto sentì i goccioloni toccare l'asfalto, lontano nella mente sentì anche il profumo della terra bagnata dopo tanti giorni di sole torrido. Essendo l'alba, per i dormiglioni estivi un'ora molto insolita, i rumori esterni erano quasi inesistenti; le automobili non inquinavano, le biciclette non rumoreggiavano, i pedoni non correvano, i bambini non piangevano e i bagnanti non ridevano. Si poteva udire soltanto qualche raro richiamo dei pescatori, qualche gozzo che rientrava dalla pesca notturna o al massimo i primi abitanti del paese che tiravano su le saracinesche per offrire ai contadini, appena arrivati con il loro carico di verdure, frutta, uova e qualche gallina ancora addormentata, il primo caffè mattutino. Questo accarezzare delle narici con i sensi raramente percepibili, mi portò con i pensieri negli anni lontani della mia adolescenza, nella stanza con le finestre, a causa della calura estiva spalancate, con il terrazzo che sovrastava la passeggiata del paese, il porto a vista d'occhio, la pineta a distanza di qualche decina di metri dietro l'albergo, l'unico del paese in quel tempo, che fu piantata da mio nonno allora preso in giro per l'idea a dir poco bizzarra ed ora un groviglio di rami che offriva un' ombra rinfrescante ai sospiri affannosi, le pelli sudate e la possibilità di un sonnellino tranquillo nelle ore più calde della giornata. In aggiunta a tutto questo, c'era ancora una cosa che non mollava il mio pensiero ed era quell'inesorabile battito dei motori dei gozzi, quel tum.., tum.., tum.., che aumentava o diminuiva a secondo i giri, il battito che mi faceva da sveglia tutte le mattine di quel mese di Agosto dell'anno... mah, in fondo, l'anno non ha nessuna importanza. Potrebbe essere uno qualunque, perché in realtà i miei ricordi di Agosti precedenti o quelli seguiti per tanti anni dopo, non si scostavano di molto da quello appena descritto. In realtà, erano i giorni più belli della mia vita, spensierati, senza compiti per il giorno dopo, senza limiti per uscire fuori con gli amici, senza caos di una metropoli, senza tram, smog, ingorghi o punizioni per essere arrivati a scuola con qualche minuto di ritardo. Così, frugando nei ricordi sparpagliati qua e là, sembrava che il sole non avesse mai abbandonato la terra in quei mesi di vacanze estive, forse perché anche le gocce della pioggia, che senz'altro avevano bagnato la terra assetata, avevano sempre richiamato nella mia memoria delle sensazioni simili a quelle appena descritte e così, anche se quel giorno non si poteva fare il bagno e nemmeno una passeggiata sotto i pini di mio nonno, il tempo trascorso con i miei pensieri nascosti per gran parte dell'anno, faceva splendere un sole particolare sopra la mia testa e le nuvole scomparivano una dietro l'altra senza lasciare traccia della loro esistenza. I miei pensieri... un intreccio di parole come sogno, realtà, oggi, domani, principio ... le critiche altrui sui miei comportamenti, deduzioni, ideali... già... ideali, la parola che oggi è scomparsa del tutto sostituita da mille surrogati ma nessuno con il suo vero significato. Ma quando dopo qualche minuto l'acqua smise di scendere dalle nuvole già rade, tutte queste mie osservazioni scomparvero dietro un angolo invisibile per lasciarmi sola con il mio stupore per essermi ricordata qualcosa del mio passato. La mia felicità era così grande che mi venne un desiderio incommensurabile a dividerlo con qualcuno e questo qualcuno non poteva essere nessun'altra che Davide
- Davide, Davide svegliati, ho ricordato... ho ricordato i giorni passati, il profumo della terra bagnata... Davide..
Ma nessuna risposta arrivò al mio richiamo. La stanza era silenziosa, nessun rumore né movimento. Il classico mormorio di Davide non dava cenno di partenza. In quell'attimo mi sentì la persona più sola al mondo, sola, abbandonata, quasi vuota. Ma come, tutta la giornata di ieri non era altro che un semplice sogno?! Soltanto allora decisi di dare un'occhiata a ciò che mi circondava. La classica camera di un classico albergo, un classico letto con il bagno accanto, la finestra ed il balcone che sovrastava la passeggiata del paese. Mi girai di altri venti gradi e trovai un tavolino altrettanto classico ma quello che giaceva su di esso non lo era affatto. Si trattava del mio Davide, che essendo spento e io purtroppo non mi ricordavo di averlo fatto ieri sera, non poteva nemmeno pensare alla mia osservazione immaginiamoci a rispondere. Questa constatazione mi fece alleggerire l'anima dai pensieri poco piacevoli e senza pensarci due volte, con un salto da felino mi avvicinai e con un semplice gesto sull'interruttore, accesi il mio così caro amico. Dopo qualche istante nell'insegna dei ronzii incomprensibili, sentì le parole di Davide composte in tale maniera da svelare il suo stato "d'animo" per niente calmo
- Ma Ilaria, lo sai che negli ultimi vent'anni nessuno mi aveva mai spento? Ammetto che in parte è anche colpa mia perché non avevo trasferito il programma che riguarda questo fatto, ma non potevo immaginare che dopo tutto quello che abbiamo detto ieri tu avessi trovato opportuno spegnermi! Sei proprio una bell'amica! Si può sapere perché l'hai fatto?
Con questo suo accorgimento, sul essere rimasto spento, mi costrinse a tralasciare il pensiero sulla mia felicità di ricordare perché una domanda estremamente logica prese il sopravvento su di esso.
- Come sai di essere stato spento?
- I circuiti Ilaria! I circuiti erano freddi!
- Freddi? Un'altra dei tuoi trabocchetti?!
- E no! Questa volta la risposta è molto più semplice del solito. Per poterci "insegnare" l'accensione e lo spegnimento programmato, hanno dovuto installare fra tanti strumenti anche una specie di termometro e questo funziona sempre, diciamo per conto proprio. Elementare questa volta, vero?
- Fin troppo. Le tue risposte di solito sono complicate e per poterle capire almeno parzialmente mi ero abituata a sbattere la testa contro il muro ormai permanentemente. Non ci posso quasi credere in questo miracolo. Meno male che ogni tanto hanno fatto qualcosa di comprensibile anche per noi mortali e spero che anche la mia risposta alla tua domanda sarà altrettanto comprensibile per i tuoi circuiti. Per dire la verità, non mi ricordo di preciso il motivo del tuo spegnimento, ma credo di indovinarne la ragione. Hai detto proprio bene, dopo tutto quello che era successo... Secondo te, io avrei dovuto credere a tutto senza avere un minimo dubbio che fosse un sogno? Ti sembra normale che un calcolatore senta con le mie orecchie, ricordi i miei desideri, veda con i miei occhi e per di più te lo faccia sapere riflettendo l'immagine sul monitor? Ti sembra normale che tu conosca il mio passato ed io a non ricordarmi nemmeno quello che ho mangiato per cena la sera precedente? Per non parlare della tua conoscenza su quello che penso!!!
Questa volta era lui a soffermarsi sulle mie parole e lo dimostrò standosene zitto per qualche secondo per poi ammettere la realtà
- Forse ho corso un po' troppo e mi dispiace. Per te tutto questo è difficile da capire, è vero, però prova ad immaginare quanto per me è difficile realizzare questo tentativo di trasformare l'impossibile nell'impensabile
- Di nuovo questa parola impensabile. Ora mi potresti spiegare la differenza di significato?
- Quando una cosa è impossibile, quella non si realizzerà mai, ma quella impensabile potrebbe avere un futuro. I vostri confini mentali sono molto ristretti, ogni giorno imparate una cosa nuova ma pensate lo stesso di sapere tutto. Ecco tu quel giorno, per la prima volta avevi corretto la propria opinione su un fatto così essenziale e in quel momento avevi spalancato dentro i miei circuiti, a tua insaputa, un portone grande come il mondo. Grazie a quel giorno noi due possiamo dialogare oggi come mai prima, perché anch'io cerco di allargare le mie vedute e di cambiare l'impossibile nell'impensabile.
- E sarebbe?
Non ebbi la risposta.
- Ho capito. Ma devo aspettare la fine delle vacanze per conoscere anche questo fatidico momento della mia scoperta?
Ero aggomitolata sul letto e mentre il giorno prendeva sempre più piede sulla mattina, fissavo senza paura quello schermo da cui aspettavo la risposta. Cosa avrò fatto di così strano?
- Per te la parola pazienza non esiste, vero?
- Pazientare per cosa? La sbornia di ieri mi è passata, o meglio dire l'ho ingollata perché per digerirla mi ci vorrà parecchio tempo e quello per ora non ce l'ho. Oltre tutto, nei discorsi così sballati di ieri hai stuzzicato, come se non bastasse il resto, il mio appetito con l'impossibile e l'impensabile facendomi capire in poche parole che tutto quello che succede in questo momento, praticamente, è colpa mia ed io non ricordo che una piccola parte di tutta la mia vita. Dai Davide, prova a metterti nei miei panni e vedrai che non è così facile dominare la pazienza.
Questa volta non mi rispose nemmeno con il ronzio. Stava muto e probabilmente meditava in totale silenzio. Rispettai la sua decisione e rimasi in silenzio pure io. Tutto d'un tratto, il foglio si infilò nella stampante e un rumore secco inondò la stanza. Io, quasi impietrita, questa volta non cercai nemmeno a far finta di occuparmi di qualcos'altro. La curiosità era notevole, per non dire enorme e non aspettai nemmeno la fine della pagina. Come le lettere venivano incise così le leggevo, una dietro l'altra, facendo parecchia fatica a collegare i fatti.
- Non aver furia, rilassati. Così correndo puoi guadagnare soltanto qualche piccolissima parte del tempo che in fondo non ha nessuna fretta e in compenso rischi di cadere nella sua trappola costruita dai labirinti delle soluzioni difficilmente risolvibili se non si ha l'accortezza di usare la pazienza.
- Come mai non c'è la data di quando l'ho scritto?
- Non mi hai nemmeno sentito, vero?
- Sentito cosa? - dissi quasi irritata per essere stata interrotta nel seguire i miei pensieri che avevano preso una via già ben precisa.
- Niente... niente... detto in poche parole, ho soltanto notato di aver stampato più di mezza pagina e tu ti accorgi soltanto della mancanza della data.
- E ci credo. Non riesco a collegare nemmeno tre parole insieme per poi dargli un senso e allora ho notato il fatto della data. Ancora non riesco a capire cosa c'entra il nostro discorso con tutte queste parole, belle ma per il momento senza nessun collegamento sul nostro discorso, la mia curiosità e la parola impensabile.
- Forse se tu mi avessi sentito poco fa, avresti inteso che per capire qualcosa di tutto ciò dovrai arrivare alla fine della pagina, leggendola con tanta calma e usando quello che tu chiami il senso della logica. Il resto lo dovresti intuire. Era sempre la tua chicca; lasciare il prossimo, nel corso dello svolgimento, a costruire la propria opinione sull'accaduto per poi esprimere la tua.
- Giusta o sbagliata?
- Ha importanza?
Aveva importanza? Era importante aver ragione o meno? Quanto ero disposta ad accettare le ragioni altrui? Quanto ero tollerante nel vedere l'esito per poi ricominciare daccapo senza rancori nel confronto di chi ha sbagliato non dandomi la possibilità di sviluppare la mia idea a quel punto risultata giusta?
- Penso di essere abbastanza cocciuta e di non arrendermi tanto facilmente. Di conseguenza non credo di essere tanto propensa a mollare le mie teorie ad un prezzo stracciato.
- Allora ha importanza!
- Si potrebbe interpretare anche così, ma in compenso sono altrettanto certa di accettare la "sconfitta" se di essa si tratta, quando mi rendo conto delle ragioni altrui, delle idee migliori o più giuste delle mie.
- Illustrazione pratica?!
- Il mio comportamento nei tuoi confronti. Finora sei stato tu a condurre il gioco anche se la mia mente, in un certo senso, si ribella a tutto ciò che accade.
- La chicca in arrivo! Avevo ragione poco fa. Aspetti la fine per poi dire la tua!
- Non ho altra scelta. Sono a corto di idee e deduzioni. Devo riempire di nuovo questo contenitore per poi dialogare con te alla pari.
- Allora non ha importanza!
- Cosa?
- Lascia perdere...
- No...no... aspetta un po'. Non è mica proprio per questa ragione che io non abbia messo la data sul foglio?
- E sarebbe?
- Mi sa tanto che per la risposta dovrai attendere il mio completare della lettura e poi ti svelerò la mia, come tu chiami "chicca". Per un po' ti devi chetare, perché devo ricominciare daccapo. A forza di chiacchierare ho perso anche quel poco di filo che avevo costruito... E gli occhi tornarono sul foglio che era già pronto in attesa della lettura integrale.
Questo era la mia prima settimana bianca in tutta la vita, le prime sere con la neve che silenziosa cadeva dal cielo, con la quiete di mezzanotte che diventava ancor più silenziosa essendo accompagnata dai quei fiocchi bianchi, leggeri e numerosi ma nello stesso tempo quasi inesistenti essendo vulnerabili al primo sole mattutino. Il motivo per essermi messa a scrivere queste due righe, è il desiderio di confrontare il mio stato d'animo in questo momento pacato, ma durante i giorni passati, per le mie abitudini, inspiegabilmente agitato. Sento semplicemente il bisogno di ragionarci sopra e non soltanto di questo ma anche di quello che è riuscito a scatenarlo. E così, non avendo nessun interlocutore valido, mi sono messa a ragionare con la penna e qualche foglio di carta bianca. Forse il loro silenzio aiuterà la mia mente ad essere più ragionevole non avendo nessun concorrente da combattere e sviluppando l'accaduto con la cronologia dei fatti.
Credo che tutto cominciò con l'osservazione dei tre ragazzi sulle piste da sci, ragazzi come tanti altri..o quasi. Ecco il nocciolo del mio "tormento" mentale, questo quasi! Ma cominciamo con l'ordine. Quel giorno ero piazzata a margine di uno dei tanti percorsi, con i miei occhi ben aperti, con la paura della neve ghiacciata, dei pendii, delle insidie nascoste... E' lì che vidi sfrecciare lungo i muri per me insormontabili i miei "quasi", abbracciati ai loro maestri, senza le bacchette e con un casco in testa come l'unica difesa fisica contro tutto l'ignoto che li circondava. Era lì che il mio "quasi" prese corpo, avevo semplicemente capito che questi ragazzi erano ciechi!!, distinguendosi da noi "normali" soltanto con un triangolo giallo sulle spalle o al massimo una giacca del solito colore. Dopo qualche minuto di stupore, essendo una ficcanaso per natura nel senso buono della parola, non ho potuto fare a meno di fermare uno dei loro istruttori per domandare semplicemente " Ma come Diavolo fanno?" per poi ricevere una risposta altrettanto semplice "Hanno gli "occhi" dentro la punta degli sci. Con essa avvertono tutto ciò che li precede e il resto che segue. Sesto senso!" Dopo quel breve colloquio i giorni passavano uno dietro l'altro, perdevo sempre più tempo ad osservarli perché erano molto più numerosi del previsto, cercando di conoscere i loro primi passi con due istruttori, poi con uno solo, scoprendo in seguito che ciascuno di loro sarebbe stato accompagnato nelle future scoperte degli innumerevoli pendii sempre e per sempre dal solito maestro scelto all'inizio dell'avventura, per poi finire sfrecciando davanti ai miei occhi come il primo giorno quando avevo conosciuto la loro esistenza sulla neve. Tutto era bello, dalla neve alla mia scoperta, ma io, che non perdo l'occasione per fermare gli attimi della vita sulla pellicola, non ebbi il coraggio di scattare la fotografia ricordo. Ebbi paura di ferirli, ferirli dentro la loro "diversità", dentro i loro pensieri più nascosti, dentro il loro "buio"... E poi, improvvisamente, l'ultimo giorno della mia settimana trascorsa sulle nostre Dolomiti meravigliose ma per loro soltanto intuibili, decisi di rendergli omaggio a modo mio - scattando una foto. E questa, credo, sarà una foto che guarderò spesso quando "inciamperò" lungo il mio cammino quotidiano ma anche quando riuscirò a fare qualcosa di impensabile. Ci siamo. Dico impensabile, perché mi sto rendendo conto che la parola impossibile sta diventando con il passare del tempo sempre più stretta. E così, sorridendo soltanto ora dopo aver dialogato con me stessa, li ringrazio per averli incontrati, scoprendo questa meravigliosa forza che portano dentro i loro mille occhi. Spero soltanto che questa sensazione nata improvvisamente dentro la mia anima, non svanirà mai!
Dire che rimasi stupita, era poco. Dire che sapevo dove correvano i miei pensieri, sarebbe stata una bugia. Dire che capivo il significato del appena letto, sarebbe inesatto. Davanti gli occhi mi scorrevano le date che andavano indietro col tempo e quelle immaginate che arriveranno col futuro. Le circostanze dove il tempo non aveva nessun senso e nel quale si poteva infilare comodamente anche la mia constatazione sull'impossibile - l'uomo che volava, la "macchina" che camminava, il computer che rideva, il giro del mondo in ventiquattrore, l'universo sempre più piccolo, le stelle sempre più amiche, il tempo sempre più prigioniero, gli ideali sempre più commercializzati... Tutto ciò una volta era considerato impossibile per diventare oggi una normalità. Gli eventi che erano e saranno accettabili con qualsiasi data sul dorso! Ecco perché mancava! Non aveva alcuna importanza!!! Alzai lo sguardo fissando Davide nello schermo fino a poco fa grigio ed ora di un colore rosa tenue.
- Mi volevi dare una mano a non stupirmi più di niente?
- E a farti ricordare che una volta avevi deciso a considerare nessuna soluzione impossibile.
- Dove vuoi arrivare realmente?
- A farti capire che dietro la tua constatazione è nato il mio desiderio di poter sognare un giorno, forse. E così farti compagnia nel credere che esista soltanto impensabile.
- Sognare? Ci sono cose, Davide che non si possono imparare. Le portiamo dentro di noi, sono nate con noi, spesso sbucano dietro l'angolo senza il nostro volere, si esprimono in gesti, sguardi, comportamenti o in linea di massima anche nei sogni che poi cerchiamo di analizzare, decifrare e qualche volta anche realizzare. Se ti riuscisse sognare, credi di poterli anche realizzare?
- Come l'amore?
- Non potevi scegliere un evento meno complicata come l'inizio della lezione?
- Mi hanno insegnato prima la radice quadrata, così dopo, il due più due bevevo come un bicchiere d'acqua!
- Una volta inserita la logica matematica però!
- Infatti. Anche questa volta è stata inserita la logica adatta - con la soluzione dell'amicizia!
- Ma l'amicizia si acquisisce, l'amore nasce! Allora, per essere più precisi prima ci si innamora che è in realtà un istinto per la sopravvivenza, forte e cieco che poi si tramuta in amore, profondo e sincero. Innamorarsi si può di chiunque, amare soltanto pochi.
- Come l'amicizia. Possono essere tante ma i veri amici si contano sulle dita.
- Se non sbaglio, ti avevo già chiesto una volta come fai ad usare la deduzione logica.
- Ed io ti avevo risposto di essere collegato ad una chiamata Ilaria.
- Ora non siamo collegati Davide!
- Lo siamo stati ieri e a me basta captare una volta delle reazioni, conclusioni o cose simili per poi tirarle fuori ogni qual volta che ritengo opportuno, inserendole in un altro contesto da me prescelto. Come ora ad esempio.
- Hai mai pensato che l'amore non è un calcolo e che non si può prevedere?
- Visto che, fortunatamente, nei tuoi ricordi si è salvata la descrizione del più bel sentimento di voi umani, aspetterò. Prima o poi ti capiterà, no?
- Non so nemmeno se sono capace di amare!
- Perché, ci vogliono delle doti particolari?
- Come spiegarti. E' un rapporto molto complicato. Un rapporto, semplificandolo al massimo, fra dare e avere senza che l'ago della bilancia penda troppo da una o dall'altra parte.
- Come i calcoli di un'azienda; dare e avere, rosso e nero, guadagno e perdita.
- Ma tu traduci tutto in numeri!
- La mia vita è tutto un numero e come puoi constatare, funziona discretamente bene, anzi, benissimo. Sai, i numeri possono essere molto divertenti e qualche volta facilmente tradotti nella vostra realtà.
- Questa volta sono io a chiedere l'esempio. Sono proprio curiosa di sentire anche questa tua trovata.
- D'accordo. Allora dimmi a cosa pensi quando dico - cento per cento?
- Alla parola tutto.
- Che può significare anche completo, intero, globale, complessivo... e dicendo l'uno?
- La prima cosa che mi viene in mente è singolo.
- Sinonimo anche per l'unico, l'individuo, il dispari... e se ti rammento il numero tredici - fortuna o sfortuna dipende in che cosa si crede, il due - la coppia e poi il venticinque - un quarto, cinquanta - la metà, dieci, venti, trenta e così via - dà il significato del tondo...per arrivare ad un numero che rappresenta tutto e niente - lo zero, dipende se accoppiato con qualche altro numero o meno.
- E perché ti sei tinto di rosa?
- Di palo in frasca. Hai bisogno di rifletterci sopra, vero?
La sua voce come il suo solito era senza accento, ma come ieri avevo intuito la sua paura, così ora avvertivo il suo crogiolarsi nella vittoria avendo vinto questo round a pieni punti. Così, annuendo in silenzio, gli feci capire che avevo bisogno di tempo per rispondere ai ragionamenti così ben argomentati, scordandomi completamente che non eravamo collegati e quindi che non poteva "vedere" il mio annuire. Ma lui, calcolatore di professione, si accorse del mio silenzio prolungato e per accontentarmi nella mia richiesta muta, proseguì con la risposta sul rosa.
- Prima, perché è un colore dolce e ottimista, adatto per qualsiasi futuro, specialmente quello dell'amore.
- Così, dipingendo tutto rosa pensi di aspettare molto meno per poi vedere avverare il tuo desiderio. Soltanto che questo non si può realizzare pigiando semplicemente su un bottone!
- Le statistiche dicono che questo periodo è il più fruttuoso. Non si può dire che le mie possibilità siano così scarse.
- Senti contabile, mi puoi dire, già che ci siamo, anche il luogo dell'incontro?
- Le statistiche dicono che siamo al posto giusto, momento giusto e che sei sola, ma nello stesso tempo, a differenza di tutte le altre statistiche, accompagnata. Niente male, vero?
- Dici, niente male? - dissi alzando le sopracciglia - Secondo te dovrei innamorarmi a commando, amare nel tempo più breve possibile e poi tutto ciò dividere con un computer desideroso a diventare più umano! Hai detto proprio bene, niente male! Dai mattacchione, il sole è già alto in cielo e noi continuiamo a fare discorsi da fessi.
- Fessi lo sono forse per te.
In quel momento capì una cosa che probabilmente era nascosta da tempo, usando il termine di Davide, dentro il "cassetto" delle domande - la sua voce non aveva mai né accento, né cadenze né tonalità, è vero, però riusciva ad ottenere il solito risultato con la sola disposizione delle parole. Una constatazione che collegata con quella precedente dei numeri, mi fece capire che in fondo poteva esistere un'altra via per poter capire ed esprimere i sentimenti, dentro di noi soltanto tali ma dentro un calcolatore, per forze maggiori, tramutato in cose molto più "palpabili".
- Non volevo offenderti, ma devi capire una volta per tutte, che non si può programmare proprio tutto. Ci sono cose che accadono soltanto perché era destino che accadessero, nient'altro!
- Aiutandole spesso con le circostanze costruite.
Si è proprio fissato, quello. Lo guardai per un attimo e poi decisi di metterlo in castagna
- Queste circostanze me le procuri tu? - dissi divertita
- Accetto la proposta!
Lo ha detto senza fiatare!! Non è mica già tutto organizzato dentro quella sua "testa" dai pensieri impenetrabili, sconosciuti e senz'altro sempre più imprevedibili?
- Non mi lasci mai una via di uscita, vero? Vedi, ti voglio scoprire un segreto. Nell'amore, qualche volta, quella via si concede anche a costo di grandi sacrifici.
- Non sono mica io quello di cui ti devi innamorare!
- No, è vero, però devi sapere che si può amare anche una cosa che non è necessariamente collegata ad un essere umano.
- Non ti seguo.
- Prova a far pendere l'ago della bilancia qualche volta dalla parte mia e quando me ne accorgerò ti farò capire la differenza. Ora, cosa ne diresti di un tuffo nel mare? Le cicale annunciano una giornata molto calda e soleggiata con l'inevitabile possibilità della prima abbronzatura.
Silenzio. Niente risposta. Niente commento sul bagno che lui senz'altro non avrebbe potuto fare e nemmeno sull'abbronzatura. Una cosa era certa: le sue capacità di apprensione erano immense e non soltanto questo, appena incamerate le applicava a perfezione!
- Niente male come inizio Davide!
A quel punto il led rimase acceso fisso per qualche istante, anzi, per qualche secondo. Il monitor si tinse di verde intenso, verde - speranza pensai, seguito da una trentina di ticchettii regolari per poi acconsentire dicendo
- Ora l'ago pende dalla parte tua per esatti otto per cento!
Scoppiai a ridere con tutto il cuore. Aveva ragione, la sua vita era tutta un numero! Chi sa se un giorno non riuscirà a tramutare in essi anche l'anima!
Senza commentare a voce alta la sua deduzione, presi il borsone da mare con tutto l'occorrente già disposto al suo interno, il mio Davide, chiudendoli il coperchio senza spegnerlo, le chiavi di camera e con passo veloce mi indirizzai verso la spiaggia di fronte all'albergo.

La giornata passava come tante di una vacanza estiva piena di sole e di gente spensierata. Chi con il gelato in mano e chi a brontolare il figlio per la prolungata permanenza nell'acqua, per colpa delle correnti fredde a dir poco frescolina, con la conseguenza delle labbra bluastre e le dita grinzose. Tutto ciò osservavo con i gomiti appoggiati sull'asciugamano rosso steso sulla sabbia calda e le dita dei piedi ammollate nel mare definito frescolino, ottenendo un miscuglio di gradazioni molto piacevole. E così, avendo gli occhi occupati con i movimenti più o meno conosciuti, tenevo le orecchie tese per captare qualcosa che non era altrettanto conosciuto. Era la reazione di Davide su tutto quello che accadeva intorno a lui, la reazione che aspettavo da almeno due ore, perché era da così tanto che se ne stava zitto accanto al borsone, protetto dal sole cocente da un capello bianco a forma di sombrero. Se ne stava zitto non perché era spento - non mi sarei mai più permessa a procurargli di nuovo qualche altro sgradevole sentimento, specialmente ora dopo aver conosciuto un po' meglio questo essere senza precisa dimora nella nostra scaletta delle divisioni esistenziali - ma soltanto perché aveva chiesto di essere lasciato in pace per un pò di tempo, avendo bisogno di riorganizzare qualche programma a seguito dell'ago della bilancia, del verde speranza e soprattutto del discorso sull'amore. Che pensandoci bene ora, come allora, mi è sembrato ben mirato da parte sua per poter poi raggiungere un'altra meta dentro i suoi circuiti probabilmente da tempo disegnata. Ora, dopo essersi accertato che mi ricordavo dei valori come l'amore, l'amicizia, il calcolo... come quello del ieri, domani e del futuro sempre incerto, poteva passare, probabilmente, alla seconda fase della mia rieducazione, perché io conoscevo sì il significato ma non se mai applicati nella mia vita quotidiana. Un fatto mi confortava però; anche se non mi ricordavo gli eventi accaduti in passato, sapere di averlo vicino mi dava una sicurezza insolita. Sicurezza che nasceva dal fatto che il mio ieri in gran parte stava nascosto dentro i suoi "cassetti" aspettando soltanto il momento giusto per essere trasferiti dentro i "stampi" della mia memoria da lui con cura preparati. Soltanto ora, ed era la prima volta da quando mi sono svegliata ieri mattina, a seguito di questo suo prolungato silenzio che non dovevo correre, ricordare, leggere o pensare per poi combattere la strana, calcolata logica di Davide. Potevo dedicare qualche pensiero a tutto ciò che era accaduto e quello che, inesorabilmente, sarebbe dovuto accadere. E così, dietro l'angolo invisibile del tempo che passava lento come una lumaca, sbucò una domanda. Davide lo sa dove porta la strada imboccata ieri mattina? E se lo sa, perché non usa l'autostrada dicendomi semplicemente tu sei Pinco Pallino, hai tot anni, questi sono i tuoi amici, questi i nemici... questo è il tuo lavoro, questi i tuoi averi e così via. Non sarebbe stato più semplice?
- I sentimenti non si possono spiegare con le parole. Si devono guadagnare con il tempo vissuto.
- O! Ti sei svegliato dal torpore? E cosa ne sai tu dei sentimenti?
- Quanto tu del tuo ieri. Così siamo pari nel percorrere questa strada comune e a fare questo cammino insieme.
- Facciamo proprio una bella coppia. Un essere umano che si deve fidare dalla memoria di un Computer con la speranza che non sbagli mai i calcoli, ed un Computer che si deve fidare dei sentimenti di un essere umano per poi trasformarli in un calcolo soltanto a lui conosciuto. Ma io sono molto cocciuta e ti ripeto la domanda: hai mai pensato di risolvere i miei problemi con un sistema più semplice, come per esempio quello che ho accennato poco fa?
- Certo, ma ho anche avuto una risposta, sempre calcolata, negativa.
- Come puoi essere certo di una cosa mai accaduta?
- Non accaduta a te ma certamente già accaduta a qualcun'altro, senno come avrei potuto avere le basi per il calcolo?
- E tu provaci lo stesso!
Sembrava che mi scrutasse con mille occhi. Ecco la mia sensazione provocata con il suo silenzio. E poi, tutto ad un tratto, fuoriuscii dagli altoparlanti soltanto una parola
- Igor.
- Igor cosa?
- Il nome Igor, ti ricorda qualcosa?
- Ora non esagerare, conciso si ma non troppo.
- Eppure non è un nome tanto comune. Se avessi detto Marco, Daniele, Giorgio...avrei capito, ma Igor... Non credo che tu conosca tanti Igor!
- Non conosco nemmeno tanti Marco o Daniele, ma non significa che devo per forza conoscere un Igor.
- Ecco, lo sapevo. Il mio calcolo sulla tua risposta era esatto.
- Ma è così importante questo Igor nella mia vita?
- Credo proprio di si.
- Allora fammi leggere qualcosa su di lui! Semplice no!?
- E no. Questa volta non è così semplice. Se lo fosse, non avrei perso tutto questo tempo per poi trovarmi soltanto all'inizio della storia. Per dire la verità, di lui hai scritto molto, anzi, moltissimo. Ho così tante pagine dentro la mia memoria da non sapere da che parte cominciare. E proprio perché sono tante, sembra quasi un controsenso, diventa impossibile concentrarle ed esprimere tutte le emozioni contenute.
- Tante quante?
- Cosa?
- Le pagine no?
- Vuoi sapere il numero esatto?
- Su per giù.
- Questa parola non esiste nel mio linguaggio. O esatto o niente.
- Allora esatto. Il niente mi hai già detto.
- Novecentocinquantacinque!
- Quante?
- Hai sentito bene. Novecentocinquantacinque.
- E l'ultima, quando l'ho scritta?
- L'altro ieri.
- Capperi! Per scriverne così tante devo aver impiegato un bel po' di tempo!
- Un bel po' quanto secondo te?
- Non so, diciamo un mese.
- Conclusione errata.
- Allora quanto, sapientone?
- Tre mesi e dieci giorni.
- In poche parole non facevo altro che scrivere.
- Quasi. Una buona parte di ogni giornata mancavi da casa per poi quando tornavi ti mettevi a scrivere, scrivere, scrivere. Credo che non ti concedevi nemmeno un caffè nelle ore di scrittura. E cosi, un giorno dietro l'altro passavano le settimane, finché non ti sei svegliata con l'idea delle vacanze.
- Te l'ho fatto conoscere?
Silenzio come risposta.
- Davide, mi hai sentito? Hai sentito cosa ti ho domandato?
Silenzio. Ma che ha? Perché tutto ad un tratto si è chetato? Guardai per un attimo il segnalatore delle batterie, ma quelle erano cariche. Poi controllai se non l'avessi spento involontariamente, ma l'interruttore era acceso. E allora , perché stava zitto?
- Davide, mi senti?
- Certo.
- E allora, perché non mi rispondi?
- Perché non esiste una risposta certa ed io non sono programmato per rispondere a metà. Se modifichi la domanda, forse riuscirò a darti la risposta.
- Modificare la domanda? Ma era così chiara. Ti ho chiesto soltanto se te l'ho fatto conoscere! Mah, non riesco a capirti. Proviamo a modificarla, contento tu contenti tutti. Allora... vediamo... ho trovato, o almeno credo di aver trovato la domanda giusta. Te l'ho mai presentato?
Seguii la risposta immediata
- No!
- Ed era così difficile da rispondermi anche prima?
- Per il mio modo di vedere le cose, si. La parola conoscere può spiegare più cose nello stesso tempo. Esempio? Vedi, io potrei conoscere Igor soltanto tramite il tuo racconto però anche fisicamente. Me lo avresti potuto far conoscere tu, come lo avrei potuto conoscere anche da solo, casualmente. Le cose si possono conoscere superficialmente come profondamente. Una persona si può conoscere per quello che si dice di lei ma anche per quello che racconta di sé stessa. Sotto quale "ombrello" avresti messo la tua domanda?
Visto che non rispondevo, aggiunse soltanto
- Vedi, non è poi così facile come sembra!
- Ho belle capito - dissi alzandomi dall'asciugamano - Ho scritto un bel romanzo!
- Conclusione affrettata - e poi seguirono altre parole ma ero già lontana e non le sentì abbastanza bene per capirle. Quello che mi stupì era che non volevo, in quel momento, nemmeno sentirle. No riuscivo a capire il perché, ma avevo un bisogno quasi convulso di allontanarmi per qualche istante da lui, avvertendo una strana sensazione di persecuzione? paura? sospetto?... Il nome Igor lìperlì non aveva fatto l'effetto desiderato da Davide, perché senz'altro lui si aspettava una reazione ben diversa,... ma come il discorso continuava sentivo che l'effetto prima o poi sarebbe arrivato, mi inquietavo sempre di più, la ricerca nella memoria diventava sempre più frenetica ed il desiderio di arrivare almeno una volta da sola all'arrivo della conclusione mi fece paura e probabilmente soltanto per questa mia maledetta paura decisi di allontanarmi senza dirgli nemmeno: vado a fare un tuffo e torno. E mentre l'acqua salata mi bagnava il viso, le bracciate sempre più veloci mi allontanavano rapidamente dalla spiaggia, decisi di non pensare più per qualche momento agli eventi accaduti da poco e dedicarmi soltanto alla "sopravvivenza" nell'acqua e alla freschezza del mare che riusciva a raffreddare i miei pensieri bollenti. Ma quando il chiasso dei bagnanti rimase dietro le mie spalle, il fiato affannoso ebbe bisogno di riposo e il fondo del mare scomparve sotto i miei piedi, mi fermai per osservare il silenzio quasi completo. Improvvisamente, senza che apparentemente lo volessi, i ragionamenti di poco prima tornarono a galla ma nella forma di una soluzione. Notai che non conoscevo i momenti che portavano ad essa, però una volta decifrata rimasi quasi colpita. E se Davide, dopo la sua lunga meditazione mattutina, avesse costruito una bella trappola dandole il nome - Igor?
La corrente all'altezza dei piedi era più fredda del previsto.
Non voleva proprio lui che mi innamorassi alla svelta?
Il dito mignolo divenne bianco.
Però, pensandoci bene, fino ad ora ha cercato soltanto di aiutarmi.
Mi dovetti sdraiare in superficie per poter continuare a meditare ma nelle acqua più calde.
E perché, a differenza delle altre volte quando i sentimenti si facevano avanti soltanto dopo aver letto qualche riga, quest'ultimo dopo una parola appena pronunciata? Forse perché la parola era un nome e dietro un nome c'è sempre attaccata una vita intera?
Anche l'altro dito divenne bianco.
Ma perché riesco a parlare con me stessa soltanto nelle circostanze dove il fattore tempo è determinante? Ecco, anche ora, con queste maledette correnti non calcolate nel taccuino delle mie previsioni, per non diventare un ghiacciolo dovrò mollare le mie riflessioni cercando di arrivare alla spiaggia nel minor tempo possibile, diciamo quasi volando, senno il resto della storia potrebbe non essere nemmeno scritta. E mentre mettevo in atto il pensiero del ritorno, mi immaginavo il commento di Davide, che appena sdraiata sulla sabbia calda, arrivò puntualmente
- Bell'amica che sei. Sono rimasto almeno per qualche minuto a chiacchierare e spiegare il mio punto di vista prima di essermi accorto che parlavo al vento. Meno male che si sa che i computer non bevono, senno qualcuno avrebbe potuto pensare che abbia alzato il gomito.
- Qualcuno? Perché, c'è qualcuno che ti ha sentito parlare?
- Già e dovrebbe trovarsi da qualche parte sopra la tua testa.
L'alzai di scatto con una sensazione mista di curiosità e gelosia. Davide aveva ragione. A distanza di circa quattro o cinque metri sdraiato sulla sabbia, c'era un uomo di una quarantina d'anni, o forse meno, con il viso abbronzato, le mani, anch'esse abbronzate sotto il mento, occhi di un colore, per la distanza indefinito ma certamente chiari e capelli anch'essi indeterminati perché sparpagliati nel vento. Completamente vestito! Mi guardava senza batter ciglio e dopo avermi osservata tanto a lungo quanto l'avevo osservato io, allungò i labbri in un sorriso smagliante per poi dire soltanto
- Buongiorno!
Per un attimo guardai Davide e poi, un pensiero mi passo con una velocità di fulmine dentro la mia "materia grigia" per poi uscire nella forma di una semplice domanda
- Non è mica che ti chiami Igor?
- No, anche se non mi dispiacerebbe visto che è un bel nome. Il mio è molto più comune. Mi chiamo Andrea.
- Meno male! - dissi con un sospiro di sollievo
- E perché meno male? Igor, come nome, non sarebbe stato gradito?
- Oh no, no. Lascia perdere, era una battuta la mia. Più che altro volevo rassicurarmi - e a quel punto guardai con gratitudine Davide - di una circostanza, tutto qui. - E come facevo altrimenti a spiegare che ero contenta perché la trappola di Davide non era ancora scattata. Chi mi avrebbe potuto capire?
Davide se ne stava zitto, io altrettanto e lui, Andrea, aspettava il resto della frase. Ma siccome questa non arrivava e lui, per dimostrarsi educato e per non lasciare cadere nel vuoto le parole dette continuò il discorso come non fosse accaduto niente
- Mi dispiace essermi intromesso nel vostro dialogo, ma non potevo lasciare il tuo amico, dopo essersi accorto che chiacchierava al vento, di sentirsi diciamo stupido dopo aver scoperto che da un po' di tempo era solo e che le parole da lui dette non sarebbero state raccolte da nessuno. Così mi sono messo ad ascoltarlo e quando aveva finito a rispondergli al posto tuo, anche se non sapevo chi tu fossi.
- Scusami se ti interrompo, ma come sapevi che non era perso o dimenticato da qualcuno?
- Perché il suo ragionamento aveva un timbro chiaro della risposta. Perciò qualcuno gli doveva aver fatto una domanda in precedenza. Così, dopo aver detto il mio punto di vista, mi sono messo ad aspettare per conoscere il suo interlocutore e per vedere se avevo indovinato il suo pensiero.
- E di ché cosa avete parlato?
- Sei curiosa Ilaria?
- Ti chiami Ilaria?
- Credo di si.
- Credi? - Il suo viso abbozzava il sorriso.
- E' una storia lunga e non credo che si possa spiegare in due parole. Dovrai accettarla così com'è, ma ti prometto che cercherò di non parlare più in modo da metterti in imbarazzo. Non è nel mio stile. Allora, di che cosa avete parlato? - mi rivolsi di nuovo a Davide
- Mi vuoi fare un favore?
- Certo.
- Ti vuoi collegare?
- E perché?
- Per conoscere meglio il nuovo arrivato. Le parole che ha detto come risposta mi sono piaciute, ora vorrei conoscerlo anche di persona.
- E se rimarrai deluso?
- Questo lascialo decidere a me, d'accordo?
Andrea rimaneva muto sopra le nostre teste, seguendo attentamente tutto ciò che accadeva senza voler interrompere il dialogo, ma in compenso i suoi occhi svelavano chiaramente il suo stupore.
- Ok, come vuoi tu, ma cerca di essere garbato anche se non concorderai con la definizione che hai dato in precedenza e ricordati di una cosa, se sbagli comportamento ci potrebbe prendere per pazzi!- Detto questo, con un semplice gesto il collegamento fu effettuato
- Guardalo un po'!
- E perché mi deve guardare lei se mi vuoi conoscere tu?
- Anche questa è una storia lunga, forse più lunga di quella precedente, ma la devi accettare altrettanto senza commento. - E appena ultimate le ultime sillabe lo fissai negli occhi rivolgendomi contemporaneamente a Davide. - Va bene così?
- Perfetto. Abbronzato, occhi scuri, capelli... diciamo misti, alto un metro e ottanta...
- E come fai a sapere quanto è alto se sta sdraiato?
- Matematica Ilaria. Numeri, ti ricordi? Proporzioni tutto qui.
- E il peso? - dissi, più divertita guardando Andrea che sentendo le risposte di Davide.
- Da ottanta a novanta chili.
- Hai detto poco fa di non poter dare la risposta approssimativa ed ora la sputi fuori come una certezza!
- Qui subentrano le percentuali. Non posso sapere il peso esatto perché non conosco la sua costituzione fisica; il peso delle ossa o la quantità d'acqua nel tessuto. Perciò uso le percentuali. A modo suo diventa una certezza. Andrea, mi vuoi dire se ho indovinato?
- In pieno. Anche il peso. E' di ottantadue chili.
- Hai visto. La matematica non è una opinione! Un po' magrolino però! - disse, aggiungendo ticchettii irregolari
- Non ridere farabutto.
- Ridere? Un Computer che ride?
- Senti Andrea, o accetti tutto quello che vedi e senti per una cosa normale o dovremo interrompere la conversazione.
- Accetto! - lo disse con una rapidità incredibile praticamente prima di aver sentito la fine del discorso.
- Deciso l'amico. Mi piacciono tipi come lui.
- Allora, la deduzione su Andrea è positiva?
- A tal punto che, potrei accettare anche un caffè da lui offerto.
- Con o senza zucchero?
Questa sua proposta mi lasciò di stucco. La risposta di Davide poi!
- Ho dei problemi di colesterolo, perciò preferisco senza!
- Ehi, voi due, ma che cosa vi passa per la testa? Di mettervi in coppia per farmi ammattire del tutto?
- No di certo - disse Andrea sorridendo - credo semplicemente che Davide, a modo suo, voleva ricordarmi al dovere di gentiluomo di offrirti qualcosa. Lui ha detto il caffè, ma se ti va un gelato per me fa lo stesso. Anzi, così ti potrei fare compagnia.
- Non bevi caffè?
- No, mi dispiace. Sono abbastanza "vivace" per conto mio. Se bevessi anche il caffè, a trattenermi non credo che sarebbe un compito facile!
- Allora, vada per il gelato. Non perché io non beva caffè, è che dopo tante ore in compagnia di Davide, che è un bevitore e mangiatore insaziabile, ho bisogno della solitudine.
Per qualche istante non si sentì volare nemmeno una mosca, per passare a quello successivo dal fracasso misto fra ticchetti di Davide e la nostra risata fragorosa.
- Mah, speriamo bene! - disse Andrea alla fine della risata con la voce ancora singhiozzante - avevo bisogno di pace per riflettere e guarda dove sono cascato. In un manicomio peggiore del mio!
- Alt! Fermi tutti! La nostra compagnia non è prescritta dal dottore. Se non ti va sei libero di andartene!
- Non volevo offendere nessuno dei due, Davide. Soltanto che anch'io ho dei problemi da risolvere e conoscendovi, invece di risolvere i miei, si aggiungono dei fatti nuovi per di più poco credibili. Già due volte, nel mezzo della chiacchierata, mi sono domandato se tutto questo è un sogno o dò al matto del tutto.
- Però devi ammettere che nel frattempo non hai pensato nemmeno per un attimo a quelli tuoi già noti.
- Si, questo è vero.
- E allora, di che cosa ti lamenti. Hai trovato un passa tempo divertente, un sorriso da tempo nascosto dietro i pensieri brutti, una donna che crede di chiamarsi Ilaria ed un computer che ride. Cosa vuoi di più dalla vita!?
- Sentite voi due, mi avete offerto un gelato, ma se non decidiamo di prenderlo, credo che si struggerà prima di essere consumato - lo dissi alzandomi in piedi ed offrendo la mano a Andrea, facendogli capire con tale gesto che era meglio interrompere il discorso in quel punto senno poteva sfociare in una discussione dove nessuno dei tre avrebbe potuto avere maggior ragione a seguito della poca conoscenza tra i soggetti. E quando si alzò, constatai che Davide aveva ragione, come d'altronde suo solito, sulla questione di altezza. Alto, slanciato e non magrolino come aveva constatato Davide. Tutto sommato piacevole. C'era una cosa però che pungeva gli occhi, il vestito, era vestito da sera. Mancava la giacca ma quella stava accanto e quando si accucciò per prenderla la domanda seguì spontanea
- Scusa se la domanda sembrerà ironica, ma tu lo sai che ore sono?
- Certo, sono quasi le undici.
- Del mattino però!
- Lo vedo.
- E allora, questo vestito sulla spiaggia, non ti sembra fuori luogo?
- Ilaria, forse per lui la serata era cominciata ma non è ancora finita!
- Penso che Davide abbia trovato la risposta giusta.
- Lui trova sempre le risposte giuste ed è proprio quello che spesso e volentieri mi butta fuori dai binari. Dai, muoviamoci, io prenderò il gelato e tu colazione. Forse potrebbe essere il giusto risveglio dopo una nottata durata oltre i limiti consentiti dall'orologio. - E mentre io prendevo Davide che pazientemente aspettava di essere raccolto, Andrea si avviò verso il bar dell'albergo.
- Possiamo scegliere un altro posto?
- Ma non è il tuo albergo?
- E come lo sai?
- Ti ho vista entrare ma non uscire ieri sera. Deduzione - pernottamento.
- Allora, forse, non era proprio per caso che passavi lungo la spiaggia qualche minuto fa!
- Forse - disse sorridendo - ma sostanzialmente non cambia niente, devo sempre fare la colazione. Ti va bene quel bar all'angolo?
- Credo di sì.
- Allora sbrigati, il semaforo non sarà eternamente verde.
- Meno male che vi siete decisi. Come farete a convivere con i pensieri così inesatti, imprecisi... a dir poco confusi.
- E tu, perché non hai preso l'autostrada?
- Perché prima dovevo tastare il terreno - e dopo una brevissima pausa aggiunse senza che io avessi detto una parola - Non aggiungere nessun punto interrogativo, ho capito. Confusionari soltanto dal mio punto di vista perché la conversazione non partorita dai miei circuiti.
- Vedi che con il tempo anche le cose relative possono avere il proprio senso di vita. Sbagliando si impara, vero Davide?
- Magari fosse vero anche per me.
- Ho paura che lo diventi. Hai sbagliato e ti sei corretto, ti sembra poco?
Come spesso succedeva nelle ultime ore, il silenzio prese il posto della sua risposta ed io essendomi ormai abituata alle sue lunghe pause, ripresi a parlare con Andrea che quasi assente assisteva al nostro dialogo.
- Mi vuoi dire cosa ti ha detto Davide in mia assenza? - dissi sedendomi al tavolino del bar coperto da una tovaglia a fiorellini gialli.
- Certo, ma non credo che ci sia tanto da dire. Io sono arrivato quando il suo discorso era già in alto mare, ma avevo capito che si trattava di un romanzo mai scritto e parole mai dette. Però chi ha scritto e chi aveva detto, non sono riuscito a capire.
- E poi?
- Poi cosa?
- Gli avevi risposto?
- Avevo detto che forse i romanzi più belli sono proprio quelli mai scritti e le parole mai dette sono proprio quelle che ti fanno pensare più di quelle urlate.
- Perché hanno mille soluzioni?
- E perché li puoi sempre correggere senza far male a nessuno.
- E tu, hai parlato stanotte?
- Hanno parlato!
- Hanno?
- Ha!
- Ecco perché sei sempre vestito da sera. Mi dispiace. La sbornia delle parole è quella peggiore. Per farla passare ci vuole ben altro di una colazione.
- Già. Ed ora, ma non prendermi per un maleducato, avrei bisogno di farmi una doccia fredda e dormire un paio d'ore.
- La doccia più bella hai davanti ai tuoi occhi e il letto più morbido sotto i piedi oltre la strada.
- Non mi vuoi lasciare riflettere vero?
- La solitudine in questi momenti e la peggiore compagnia. Anche se siamo mezzi mattarelli, meglio che nulla, non credi?
- Ti ringrazio, ma qualche rotella la devo mettere lo stesso a posto. Ti prometto però di farvi visita appena sveglio, d'accordo?
- Ok, padrone di te stesso. Ti aspetteremo sulla spiaggia. Solito posto, solito mare!
- Salutami Davide, visto che è molto occupato con i propri pensieri.
E mentre si allontanava con passo veloce, lo guardavo più con curiosità per conoscere le stupide parole che l'hanno ridotto in questo stato che sapere l'esito della sua promessa.
Rimasti soli, o meglio dire sola perché Davide ancora non aveva minima intenzione di abbozzare qualche altro discorso, decisi di sdraiarmi sulla sabbia e cercare di riordinare qualche pensiero mettendoli in ordine di marcia. Pensando pensando, le palpebre si fecero pesanti, il respiro quasi stanco e morbidi granelli sotto l'asciugamano cullavano la ninna nanna del mezzogiorno. Ero quasi alla porta d'ingresso del mondo raggiungibile soltanto con l'inconscio quando qualcuno mi prese per la spalla dicendomi all'orecchio
- Mi faresti compagnia nel fare la doccia?
Era Andrea, con l'asciugamano sulle spalle, il costume da bagno addosso ed un paio di pinne in mano.

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